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APPUNTI DAL SINODO / UN SINODO DI GUERRA

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A pochi giorni dall’inizio dei lavori, sabato 7 ottobre, l’aula sinodale è stata investita dalle gravissime notizie provenienti dal Medio Oriente. I mai pacificati rapporti tra Israele e il popolo palestinese hanno subito un improvviso e gravissimo peggioramento a causa di un atto terroristico attuato da Hamas, l'organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista, sunnita e fondamentalista, nel territorio israeliano.

1. Venti di guerra
2. I Patriarchi dispiacciono Israele
3. Prendere una sola parte: quella della pace
4. Le armate del papa 

VENTI DI GUERRA

Questo Sinodo si sta svolgendo in un contesto internazionale segnato dalla terza guerra mondiale a pezzi di cui spesso parla il Vescovo di Roma e per la quale cerca di farsi, insieme alla sua Chiesa, operatore di pace. Anche gli Angelus domenicali da tempo sono intessuti da invocazioni di preghiera per la pace. 

Accanto all’Ucraina, al Nagorno-Karabakh, al Sudan e ai molti altri scenari, che per l’informazione possiamo dire sono “in sonno”, si è aperto ora un altro pericolosissimo fronte: quello israelo-palestinese.

Otre alla Segreteria di Stato, per la ricerca della pace sono impegnati due cardinali: l’arcivescovo di Bologna Zuppi sul fronte ucraino e il patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa sul fronte palestinese. 

L’assemblea sinodale pur impegnata nella discussione sul futuro della Chiesa non si estrania dal mondo e si mantiene vigile su quanto accade al di fuori. Si potrebbe quasi dire che sia un Sinodo in tempo di guerra.

Se nel secondo giorno di lavori l’Assemblea ha rivolto un pensiero “a chi non ha potuto partecipare al Sinodo, perché perseguitato o per ragioni gravi di crisi nel mondo” e in particolare ha espresso la vicinanza alla “Chiesa che soffre” in Ucraina con un simpatetico forte applauso, ora l’attenzione è tutta rivolta al Medio Oriente. 

I PATRIARCHI DISPIACCIONO ISRAELE 

L’attacco di Hamas sta mettendo in crisi la pace e le relazioni tra molti paesi e tra le stesse religioni, non solo tra islam e ebraismo, ma anche tra ebrei e cristiani.  

Il giorno stesso dell’attacco, il 7 ottobre, prima il Patriarca latino, Pizzaballa, poi tutti i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno fatto un appello alla pace.  

Noi, Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme […] Come custodi della fede cristiana, profondamente radicata in Terra Santa, siamo solidali con le popolazioni di questa regione, che stanno sopportando le devastanti conseguenze dei continui conflitti. La nostra fede, fondata sugli insegnamenti di Gesù Cristo, ci obbliga a chiedere la cessazione di tutte le attività violente e militari che danneggiano i civili palestinesi e israeliani.

Condanniamo inequivocabilmente qualsiasi atto che prenda di mira i civili, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia o fede. […] Imploriamo i leader politici e le autorità di impegnarsi in un dialogo sincero, cercando soluzioni durature che promuovano la giustizia, la pace e la riconciliazione per la gente di questa terra, che ha sopportato il peso del conflitto per troppo tempo”. 

Il governo israeliano ha reagito molto infastidito a questo appello con una durissima nota della propria ambasciata presso la Santa Sede, nella quale si legge tra l’altro: 

è estremamente deludente e frustrate leggere il testo pubblicato da i “Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme” (7 ottobre c.a.). Tale comunicato è affetto dalla stessa immorale ambiguità linguistica sopra menzionata. Dalla sua lettura non si riesce a capire cosa sia successo, chi fossero gli aggressori e chi le vittime. È particolarmente incredibile che un documento così arido sia stato firmato da persone di fede”.

PRENDERE UNA SOLA PARTE: QUELLA DELLA PACE 

Alla nota ha avuto modo di rispondere, in modo pacato ma fermo, il neocardinale e Patriarca latino di Gerusalemme, Pizzaballa: 

loro sono entità politiche. È evidente che noi non possiamo usare il loro linguaggio. Cercheremo di comprendere le loro ragioni, ma non sono loro a determinare quello che diciamo noi”.

E la Chiesa con le parole della fratellanza e della pace si sta esprimendo con insistenza per voce del Vescovo di Roma sia agli Angelus sia nelle Udienze generali di queste settimane in cui si sta svolgendo il Sinodo. Ripete, per ora inascoltato, Francesco: 

La guerra, ogni guerra che c’è nel mondo è una sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, è una distruzione della fraternità umana. Fratelli, fermatevi! Fermatevi!” (Angelus, 22 ottobre)

Continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite. […] È diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza. […] Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale. (Udienza generale, 18 ottobre)

LE ARMATE DEL PAPA 

L’Assemblea sinodale, come è stato ricordato più volte nei briefing della sala stampa, non vive nell’isolamento dal mondo resta vigile a quanto accade attorno a lei e segue con apprensione i venti di guerra che circondano i suoi lavori. 

Durante la sessione di martedì 10 l’attenzione dei Padri e delle Madri sinodali si è molto concentrata sul tema della pace. Molti interventi sia nei Circoli minori sia in quelli liberi in Assemblea, hanno riguardato proprio la scottante questione della pace, ricordando «le sofferenze delle popolazioni» e suggerendo di trovare modalità perché «i cristiani possano essere segno di riconciliazione in un mondo sfigurato dalle violenze»; un pensiero particolare è stato rivolto alle Chiese orientali.

La sesta congregazione di mercoledì 11, poi, è stata aperta con una meditazione del cardinale Arthur Roche che ha evocato il “pericolo di una guerra sanguinosa” con le violenze a Gaza e in Israele.

Anche nei giorni successivi, le meditazioni e le preghiere iniziali dell’Assemblea sono state dedicate alla pace nel mondo e, come ha detto cardinale Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei nel presiedere uno di questi momenti, “soprattutto in Terra Santa, ma anche in Ucraina” senza dimenticare “la violenza in Iraq, in Iran, nel Libano” e senza dimenticare che “la gente aspetta con tanta speranza di vivere la dignità e nella fraternità, e non sempre nella paura e preoccupazione”.

Il 17 ottobre l’Assemblea ha accolto l’invito del Papa a unirsi alla Chiesa in Terra Santa dedicando la giornata alla preghiera e al digiuno per la pace. 

Ancora per il prossimo 27 ottobre alle 18.00 in San Pietro, il papa ha indetto una giornata di digiuno e preghiera, di penitenza, alla quale ha invitato anche le altre confessioni cristiane, gli appartenenti ad altre religioni e quanti hanno a cuore la causa della pace nel mondo. Ma l’invito è rivolto anche a tutte le Chiese locali, affinché promuovano iniziative simili che coinvolgano il Popolo di Dio.

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Si racconta che a Jalta di fronte a chi faceva presente le esigenze della Santa Sede in ordine al nuovo assetto del mondo dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, Stalin abbia domandato: «Quante divisioni ha il Papa?». Sono le stesse che il papa sta schierando in questi giorni per evitare il diffondersi di una “terza guerra mondiale a pezzi”: chiese e piazze piene di gente che prega per la pace.



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