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APPUNTI DAL SINODO / DEL METODO E DELLA SINODALITÀ

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La questione del metodo di lavoro delle Assemblee sinodali, a partire dal secondo sinodo (la seconda sessione sulla famiglia nel 2015) convocato da papa Francesco, è stato ed è oggetto di modifiche e di contestazioni.

Un’innovazione di rilievo l’ha introdotta poi la riforma del 2018 con la Costituzione apostolica“Episcopalis communio”, che ridisegna il Sinodo dopo oltre cinquant’anni dalla sua istituzione ad opera di Paolo VI. 

Cambiamenti piccoli e grandi che sembrano non essere indolori.

1. Tredici protocontestatori
2. Chiamati alla corresponsabilità
3. La paura del conflitto
4. Tutti alla pari attorno a un tavolo
5. L’ermeneutica cospirativa 

TREDICI PROTOCONTESTATORI

In assemblee come questa, nella Chiesa o nella vita civile, il metodo ha una rilevanza fondamentale. È quella forma che diventa sostanza. 

Certo è che il Sinodo dopo cinquant’anni di vita aveva bisogno di qualche revisione. Già Paolo VI, costituendolo nel 1965, aveva auspicato: “Questo Sinodo, come ogni istituzione umana, col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato”.

Francesco, che ha fatto del Sinodo un importante strumento per l’aggiornamento pastorale, negli oltre dieci anni di pontificato ha via via apportato modifiche fino a riformarlo.

Proprio il metodo era stato una delle questioni poste all’inizio del Sinodo sulla famiglia (seconda sessione del 2015) con una lettera inviata al papa a firma di 13 cardinali. Nello specifico le procedure del Sinodo erano ritenute “configurate per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse”; in quell’occasione il riferimento era tra l’altro all’ammissione alla “comunione per i divorziati risposati civilmente”. 

CHIAMATI ALLA CORRESPONSABILITÀ

La riforma promulgata nel 2018 prevede tre importanti cambiamenti di metodo generale, che si possono ritrovare negli articoli della Episcopalis communio. Il sinodo diventa un processo che si avvia con la consultazione del Popolo di Dio (articolo 6), che si deve concludere con un documento finale (articolo 17) e non più con tante proposizioni dalle quali poi il papa trae un documento valido per tutta la Chiesa (l’Esortazione apostolica post-sinodale), inoltre l’Assemblea del Sinodo può essere celebrata in più periodi tra loro distinti (articolo3) a discrezione del papa: è stato così per il sinodo sulla famiglia e sarà così anche per questo sinodo. 

È facile osservare che si tratta di un coinvolgimento partecipativo di tutta la Chiesa, che chiama ad una particolare corresponsabilità i vescovi, infatti il documento finale da loro votato può essere assunto dal papa direttamente nel suo magistero ordinario (articolo 18). 

LA PAURA DEL CONFLITTO

Il tema del conflitto, quasi sinonimo di divisione e di rottura della comunione, è stato affrontato direttamente da Bergoglio nel documento programmatico del suo pontificato, l’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”.

Ha scritto Francesco ai numeri 226 e 227: “Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà”. Il modo più adeguato di porsi di fronte al conflitto. “è accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo”.

Nonostante questa “perorazione” si percepisce che il conflitto è temuto e quasi a volerlo esorcizzare nei vari briefing con la stampa si sente spesso il mantra “le differenze, la diversità di opinioni sono naturali, ma non fanno paura perché siamo fratelli”. Ad ogni buon contro fin dai primi passi della consultazione iniziata due anni fa, è stato scelto e costantemente consigliato il metodo della “Conversazione nello Spirito”.

Nelle intenzioni, questa metodologia dovrebbe svolgere l’importante ruolo di evitare o di far superare il conflitto. Padre Giacomo Costa, che è segretario speciale del Sinodo e che ha giocato un ruolo importante nell’impostazione metodologica di tutto il percorso sinodale, in conferenza stampa, ha chiarito che “L’esperienza della fase della consultazione [ha mostrato] come la conversazione nello Spirito apra “spazi” in cui affrontare insieme anche tematiche controverse, su cui nella società e nella Chiesa è più frequente lo scontro, di persona o attraverso i social media, che il confronto. In altre parole, la conversazione nello Spirito ci offre una alternativa praticabile alle polarizzazioni”. 

All’orizzonte dei lavori sinodali di polarizzazioni se ne sono ammassate diverse. Non a caso il Relatore generale, cardinale Hollerich, nella sua introduzione ha detto: “Uno dei punti di forza del metodo della conversazione nello Spirito è che permette a ciascuno di esprimere il proprio punto di vista, valorizzando le consonanze senza trascurare le differenze, ma soprattutto scoraggiando polarizzazioni e polemiche”.

TUTTI ALLA PARI ATTORNO A UN TAVOLO

Il metodo della Conversazione nello Spirito” è applicato anche nei lavori dell’Assemblea sinodale, in particolare nei circuli minores. I partecipanti ad ogni gruppo sono 10/12, considerando che i membri dell’Assemblea con diritto di voto sono 365 (vescovi, cardinali e i 70 testimoni del cammino sinodale) ai quali vanno aggiunti, con diritto di parola ma non di voto, i delegati fraterni (cioè rappresentanti delle Chiese non ancora in comunione con Roma) e gli invitati speciali si arriva ad un numero di 35 gruppi. 

Un’innovazione richiesta proprio dall’applicazione ai lavori di gruppo del metodo della “Conversazione nello Spirito”. Il metodo, fortemente consigliato già a partire dalla consultazione, si articola in tre passaggi: nel primo, tutti intervengono a partire dalla propria esperienza; nel secondo, si condivide ciò da cui si è stati toccati più profondamente durante l’ascolto; infine, nel terzo si tende a raggiungere un consenso inclusivo sul tema trattato per giungere a decisioni operative. Una modalità complessa che necessita anche di facilitatori con il compito di agevolare lo scambio tra i partecipanti ai Circoli minori.

I 35 tavoli rimandano indubbiamente a una bella immagine di Chiesa: cardinali vescovi, preti, religiosi e laici tutti alla pari, anche per il tempo di intervento (4 minuti), per confrontarsi sul futuro della Chiesa e per fare già esperienza del possibile stile sinodale. 

A rafforzare questo mixage è poi la rotazione nei gruppi. I moduli di lavoro sono 4 come le sezioni dell’Instrumentum laboris, per ogni modulo la composizione dei gruppi cambia sulla base della lingua e delle preferenze espresse dai partecipanti. 

L’ERMENEUTICA COSPIRATIVA 

La sinodalità e il metodo non convincono. Si tratta di posizioni potremmo dire marginali, ma interne al Collegio cardinalizio e che gli interessati dicono siano condivise anche da molti vescovi e cardinali. Che se ne debba scrivere può essere dubbio, ma è sicuramente utile farsi un’idea personale per saper valutare.

Se la “conspiracy theory” o ermeneutica cospirativa, come l’aveva definita Francesco, aveva fatto capolino nella lettera dei 13 cardinali protocontestatori, citati più sopra, ora viene sviluppata apertamente.

Il cardinale Burke dopo i “dubia”, al convegno “La babele sinodale” della “Bussola Quotidiana” del 3 ottobre ha sostenuto che:

È per lo meno singolare dire che non si sa in che direzione andrà il Sinodo, quando è così chiaro che la volontà è quella di modificare profondamente la costituzione gerarchica della Chiesa. Un processo simile è stato adoperato nella Chiesa in Germania per raggiungere lo stesso tanto nocivo scopo. […] C’è confusione intorno al termine sinodalità, che si cerca artificiosamente di collegare a una pratica orientale, ma che in realtà ha tutte le caratteristiche di un’invenzione recente, soprattutto per quanto riguarda i laici”.

Ancora più esplicito e dettagliato è il cardinale cinese Zen. Nella sua lettera già citata nel post “Dubia”, non solo, scrive ai padri sinodali:

vedo chiaramente che c’è tutto un piano di manipolazione. Cominciano col dire che bisogna ascoltare tutti. Adagio adagio fanno capire che tra questi “tutti” ci sono specialmente quelli da noi“esclusi”. Finalmente, si capisce che si tratta di gente che opta per una morale sessuale diversa da quella della tradizione cattolica. […] Dicono anche: “Il Sinodo deve concludere con una universale inclusione, deve allargare la tenda, benvenuti tutti, senza giudicarli, senza invitare alla conversione”. Protestano sovente che non hanno una agenda. È veramente un’offesa alla nostra intelligenza, quando tutti vediamo a che conclusioni mirano”.

Sul lavoro a piccoli gruppi: 

“Cominciamo, dicono, con i piccoli gruppi”. Questo è ovviamente sbagliato. Bisogna prima lasciare parlare tutti e sentire tutti nell’Assemblea. Così risultano quali sono i problemi più controversi e che hanno bisogno di un adeguato dibattito”

E ancora sulla “Conversazione nello Spirito”:

Parlano della “conversazione nello Spirito” come di una cosa magica. E invitano tutti ad aspettare“sorprese” dallo Spirito (naturalmente loro sono già informati di quali sorprese). “Conversare, ma non discutere! La discussione crea divisioni”. Ma allora il consenso e l’unanimità avvengono miracolosamente? Ma a me pare che al Concilio Vaticano Il, prima di arrivare alla conclusione quasi unanime, hanno sovente impiegato molto tempo in vivaci discussioni. Era lì che lo Spirito Santo aveva lavorato. Evitare discussioni è evitare la verità”.

Intanto i lavori del Sinodo proseguono nel più stretto riserbo.



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