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Missionario saveriano ''fratello'', I miei 60 anni...

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A sedici anni, nel 1945, dopo aver terminato la scuola professionale, andai a lavorare in fabbrica. Durante la guerra, avevo perso il papà e due fratellini. Eravamo rimasti in tre: la mamma, io e un fratello più giovane. Pur lavorando in fabbrica, ero molto legato alla chiesa e alle attività della Azione cattolica.

Il salvadanaio riconoscente

La fede di mia madre, unita alle sofferenze della guerra, avevano creato in me una profonda sensibilità verso le persone più povere e verso le missioni. Un giorno, mamma aveva portato a casa un salvadanaio con un bambino africano inginocchiato. A ogni monetina introdotta, il bambino ringraziava, chinando la testa.

 Proprio durante gli anni di lavoro, a contatto con le realtà della vita, ho iniziato la ricerca di ciò che avrei fatto in futuro. Il libro "Padre Damiano, apostolo dei lebbrosi" mi portò alla scoperta di un mondo tutto diverso dal nostro. Quella lettura ha dato il "la" alla mia vocazione missionaria e al desiderio di scoprire ciò che il Signore desiderava da me.

"Se questa è la tua strada..."

Seguire ciò che sentivo voleva dire lasciare mia madre vedova e un lavoro redditizio. Tutti dicevano che ero un "pazzo incosciente, senza cuore". Ma quando decisi di seguire la chiamata del Signore, don Peppino mi disse: "Quello che tu senti dentro di te, i tuoi amici non lo sentono; è per questo che non ti possono capire; vai tranquillo".

Alla notizia, mia madre pianse e soffrì tanto, ma mi incoraggiò: "Gino, tu vedi che soffro; sappi però che io cerco la tua felicità e non il mio interesse. Se questa è la tua strada vai, purché tu sia felice e lo sarò anch'io!". Non dimenticherò mai le parole di mia madre. Anzi, confesso che durante la mia vita missionaria ho superato molte difficoltà pensando a lei e alla sua grande fede.

Il cuore donato a Cristo

Entrai dai saveriani di Parma, fondati dal beato Conforti. Desideravo donarmi per sempre a Dio e ai fratelli, unendo alla mia qualifica tecnico-professionale anche la consacrazione religiosa, perché così mi sembrava di rendermi più disponibile.

Le motivazioni della mia scelta erano due: aiutare i fratelli più bisognosi e donare il mio cuore a Cristo, che per primo mi ha amato con amore infinito. Tutto ciò si realizzò nell'aprile 1949, quando arrivai nella casa dei saveriani a Cremona. Dopo sette anni di preparazione, fui destinato al Brasile, dove giunsi nel luglio del 1956.

La missione in Brasile

Nei 12 anni trascorsi in Brasile ho potuto dare molto di me, ma ho anche ricevuto tanto da quelle persone semplici e povere. Soprattutto ho ricevuto una grande carica di amore, perché la gente vive in maggior comunione. Chi si trova nella povertà e nella sofferenza quotidiana ha una disponibilità e una sensibilità molto più grandi verso gli altri. Se poi cercano di vivere cristianamente, sono dei veri apostoli dell'amore di Cristo.

I miei compiti sono stati vari. A San Paolo ho avviato una scuola professionale con fratel Rodolfo Cesani. Poi nel 1959, nel nord Paranà a Jaguapita, una parrocchia con 30mila abitanti, sono stato catechista e animatore. Qui, con p. Luigi Medici e p. Francesco Sozzi abbiamo aperto la prima "scuola apostolica saveriana" del Brasile. Sono rimasto lì nove anni come assistente degli "allievi" missionari. Pur non essendo sacerdote, mi sono sentito realmente impegnato nell'attività evangelizzatrice della chiesa.

Rimettersi in gioco!

Nel 1968 i superiori mi chiesero di tornare in Italia, per contribuire all'attività di animazione missionaria e vocazionale nella comunità dei fratelli saveriani a Piacenza. Mi ritrovai in un mondo completamente differente, ma fui aiutato dal "lavoro in equipe" e da un costante aggiornamento sulla nuova realtà.

Era il periodo dei "gruppi giovanili spontanei". Mi accorsi che riuscivo a toccare il loro cuore e ad avere la loro attenzione attraverso esempi di vita vissuta insieme ai miei fratelli brasiliani: un mondo di fede e di vera umanità! Fu per me un "rimettermi in gioco".

Mi sento felice e realizzato

Nel 1974 la comunità dei fratelli saveriani si trasferì ad Ancona. La provvidenza volle che nel 1978, anche il noviziato saveriano si spostasse nella stessa casa. Fu per me una nuova ed esaltante esperienza: 17 anni di vita comunitaria con i novizi! Ho incontrato tanti giovani con i quali ho condiviso lo stesso ideale per la missione. Facevo parte dell'equipe formativa e per un periodo sono stato anche vice-maestro!

Sono stati anni belli e sempre nuovi, perché ogni volta mi trovavo a ricominciare con gruppi diversi. Non sono mancate le difficoltà, ma devo ringraziare i confratelli di Ancona per l'accoglienza, la comprensione e la fiducia reciproca. I momenti più intensi riguardavano le attività di apostolato giovanile nel territorio marchigiano, dove avevo la possibilità con i novizi di essere testimonianza e fuoco vivo della missione!

Nel 1995, ho attraversato di nuovo il mare. Stavolta per raggiungere la Sardegna e la comunità di Macomer, dove risiedo attualmente. Qui sono impegnato nell'animazione missionaria e vocazionale, nell'accoglienza dei vari gruppi e come economo della comunità.

Alla veneranda età di 80 anni, sento che le forze cominciano a venir meno, ma l'entusiasmo missionario che mi circonda e soprattutto la forza della preghiera - prima attività del missionario - mi fanno sentire felice e realizzato, contento di essere saveriano!

Dalla mia esperienza, penso che per un fratello missionario saveriano i "capisaldi" siano la comunità, la vita di preghiera e l'apostolato. È fondamentale dare la possibilità alle persone di incontrare qualcuno che ascolti il loro cuore, che parli d'amore e di speranza, che annunci il vangelo.

Il futuro è sempre nelle mani di Dio!



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