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Fratel Antonio Perin: dai campi alla Sierra

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L’infaticabile dissodatore Antonio Perin spunta il 22 giugno 1926 a s.Maria, frazione di Camisano (VI). A suo dire, terra da lupi nell'800; la chiesa, sacra al Rosario, si arrampica verso il 1000. È terzo tra cinque maschi; Pietro, il  secondo, avrà tragica fine alla guida di un trattore, carico di legname, finendo in un precipizio sull'altipiano di Asiago.

Antonio affronterà presto il duro lavoro nei campi sotto padrone, per la polenta quotidiana. Dai primissimi anni una voce si farà insistente, in occasione dei ritiri e poi di una missione al popolo; inflessibile l'opposizione dei genitori, in vista di due braccia bruciate. A 23 anni, scampato dal servizio militare, ha in tasca la soluzione: raccatta quattro robe e le nasconde in canonica, avvolte nella carta.

Una mattina di agosto un seminarista connivente lo "mena" in bici a Vicenza, fino al tram della Stanga. Senza preavviso arriva al portone dei missionari in viale Trento e tira il campanello: la sua richiesta è lampante. Saputa infine la nuova, su due ruote si precipita mamma Teresa scatenata, con l'ultimo nato di quattro anni a bordo (papà Luigi se n'era già andato a 44 anni, nel '44, causa la guerra in trincea del '14/18). Padre Uccelli si interpone, calma le acque, ma la donna non si convince e il conflitto durerà un mese.

Per finire, interviene il Superiore Generale p. Giovanni Gazza con la decisione di dirottare a Parma il fuggitivo. La mamma si converte, fornisce il figlio di biancheria e gli augura di continuare per sempre. Sarà il voto che fr .Antonio indirizzerà 50 anni dopo, terminata la Campagna africana, ai neoprofessi, preso alla sprovvista per un discorso: "Tusi sempre avanti e mai indrio".

Il novìziato è già in vista: ottimo l'incontro con il maestro; passa un anno e il candidato è arruolato. Fratel Antonio trascorrerà 20 anni in varie sedi Saveriane d'Italia, donando la sua passione per la terra, per i fiori, per il verde, per gli animali, impegnato anche nell'economia spicciola, prodigandosi senza risparmio, dato pure il suo generoso impianto fisico.

Nel '69 lo sorprendiamo in Scozia e qui la rotta gira di 90 gradi. Mons.Azzolini, vescovo di Makeni, in Sierra Leone, giunto in visita, lo mette alle strette: "Mi seguirai in Africa. Per la lingua ti arrangerai".  Difatti diverrà la sua filosofia: "I moretti se vogliono farsi capire, parleranno in veneto: "I xé lori che i gà bisogno, no mi". Una nave mercantile deposita il nostro a Freetown nel settembre del '71 e su un camioncino, esposto a un diluvio, raggiunge Makeni. Qui un primo spettacolo lo colpisce: i lebbrosi in sosta davanti alla Casa, in attesa di cibo, di un indumento, di qualche soldo.

Inizia la nuova avventura: gli sarà affidata l'accoglienza, le provviste. L'uomo non si smentisce: nell'orto crescerà in abbondanza la pianta di manioca, con altri ortaggi e non mancano le bestiole. Intanto ad Antonio spunta dentro un'idea: alla vita di "tanti tusi a ramengo per le strade";

sogna di vestirli, fornirli di libri, di quaderni e di pagar loro la scuola. Rimarrà il suo hobby e guai "a tocarghe i tusi!". E qui interverranno gli amici, e prima l'Adelina De Boni, a inviargli sempre aiuti. Arriviamo al '94: scoppia la guerra in Sierra; dopo 23 anni la salute del missionario non regge. Antonio continuerà le sue imprese nel nostro noviziato di Ancona: lo scenario non cambia. E s. Maria lo abbraccerà in gran pompa: il sindaco gli appunterà sul petto la medaglia d'oro, civico riconoscimento di merito.

Ora la sede di Vicenza, rinata, l'ha accolto premurosa, pur con qualche acciacco, ma grazie a lui, quattro nuove aiuole sono già in fiore. Fratel Antonio non mollare e "avanti sempre"!



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