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Dal diario africano /5: Arrivederci! L’Africa rimane nel cuore

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di: Coniugi Ferro.

Domenica 12 novembre, la signora Valeria e il marito Emilio partono per Bujumbura. Prendono l'aereo per l'Italia. Noi, invece, proseguiamo il nostro safari africano. Il mattino presto ci rechiamo alla missione di Kamanyola. La voce dei megafoni, piazzati sulla Rover annunciano l'arrivo del missionario. Le campane del grazioso campanile suonano a festa. La chiesa è colma: circa tremila fedeli e rituale africano con canti e danze. Il caldo è soffocante, e la Messa dura due ore. All'uscita, la solita distribuzione di bonbon e toscanelli. Se non stiamo attenti, ci toglierebbero anche i vestiti.

Incontri e ancora incontri

Al ritorno, ci fermiamo ad ammirare il monumento (è proibito fare foto, ma p. Oliviero riesce lo stesso!) che ricorda il 25° anniversario della vittoria del generale Mobutu sui ribelli che si opponevano al Mouvement Populaire de la Rèvolution. Ci sono stati centinaia di morti. Il monumento è stato costruito dai coreani del nord con il marmo di Carrara.

Sulle colline di Kamanyola un'impresa francese sta costruendo con gli aiuti internazionali un grande acquedotto per oltre 20mila persone. Siamo ospiti della casa di un insegnante: omaggio di bevande e pietanze africane, compresa la manioca. Buona. Incontriamo una bambina africana con la pelle bianca, capelli biondi e occhi azzurri, figlia di genitori neri. È albina, un fatto assai raro.

Parata militare e malaria

Per tre giorni ci occupiamo di giardinaggio, fino a venerdì 17 novembre quando in Zaire è il giorno di festa delle forze armate. Nella capitale Kinshasa c'è la parata militare alla presenza del maresciallo Mobutu. Questo avvenimento, però, ci porta anche la malaria: febbre quasi a 40 con brividi, sudori e vomito. Per quattro giorni stiamo a letto. Le premurose cure delle suore dell'ambulatorio ci salvano.

Prima di cadere in catalessi, riusciamo ad assistere a una rappresentazione teatrale, tenuta dalle donne di Luvungi in lingua swahili. Non capiamo una parola, ma i loro gesti espressivi ci fanno comprendere quello che vogliono esprimere.

Al mercato della carne

Dopo altri tre giorni nell'orto a piantare i pomodori, seminati 15 giorni prima, con il prezzemolo e i peperoni prepariamo il "bagnetto valsesiano" (la salsa verde). Poi con padre Oliviero ci rechiamo al mercato, distante 20 chilometri. C'è bisogno di fare acquisti di carne. Si sceglie una mucca, che viene presa per le gambe e le corna, messa a terra e sgozzata con un machete, in barba a tutte le forme d'igiene. Squartata la vacca, acquistiamo i due quarti posteriori: 40 chili di carne per 30.000 zaire, l'equivalente di 90.000 lire italiane.

Mercoledì 22 è tempo di valigie da preparare per la partenza del giorno dopo. Paghiamo 15 dollari a testa per l'imbarco in aereo perché così sono le leggi africane: appena ti muovi, paghi.

Tanti bei ricordi

Ricordiamo quel poco che abbiamo visto: la miseria dei bambini, le case di fango, le donne trattate dai mariti come animali da soma, le strade impossibili, le lunghe Messe seguite devotamente da migliaia di persone. In mezzo a tutto questo, lavorano i missionari e le missionarie. I "maschietti" fra la gente, le "femminucce" negli ambulatori e negli atelier. Sono laggiù, come disse san Paolo, a "combattere la buona battaglia". Preghiamo il Signore perché mandi tanti operai nella sua vigna.

Venerdì 24 novembre termina felicemente il nostro peregrinare. Abbiamo descritto, solo in parte e con semplicità, quello che abbiamo visto.

Un'ultima riflessione: come fanno i missionari a svolgere la loro opera nel mondo povero?

Dietro di loro c'è un esercito formato da migliaia di benefattori e di amici che mandano aiuti in nome della fraternità cristiana.

Kwa heri. Arrivederci, Africa!



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