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LETTERA - 7: PACE (A PAROLE) e GUERRA (NEI FATTI)

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Gli elefanti e l’erba

In Sud Sudan la fine di novembre segna la fine della stagione delle piogge. Purtroppo si stanno addensando nuvole e tuoni di altro genere. Si stanno invertendo le situazioni.

Non Guerra e Pace, ma Pace a parole e Guerra nei fatti.

L’ipocrisia delle potenze mondiali contagia le nazioni più deboli e i popoli poveri. I “grandi” della terra firmano protocolli, fanno raduni e rilasciano dichiarazioni di pace, impegnandosi a ridurre gli armamenti e le armi atomiche. Poi a livello nazionale crescono gli investimenti per le armi.

Le guerre si fanno per procura, lontano da casa, possibilmente dove c’è petrolio e risorse naturali.

Il Sud Sudan, dopo una lunga guerra di liberazione contro il governo di Khartoum, ha proclamato l’indipendenza il 9 luglio 2011. È stato un momento di grande festa popolare. Ma la festa è durata poco. Ben presto è scoppiata la lotta per il potere e per il controllo delle enormi risorse petrolifere della nazione. Basta una razzia di bestiame perché diventi un conflitto armato fra tribù e i vari signorotti della guerra.

Non c’è più sicurezza. La popolazione vive nell’incertezza di quanto potrà succedere. Alcune etnie non si fidano più delle altre e così si stringono i rapporti tra i membri della propria famiglia, del proprio clan e della propria tribù. La fiducia e la pace sociale sono rotte. I leader nazionali e i capi della varie fazioni continuano a fare incontri all’estero e a firmare dichiarazioni di pace.

Sono solo carta straccia. “Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore” (Salmo 28,3).

Circa un anno fa, il 15 dicembre, ci furono centinaia o migliaia di morti qui nella capitale. Le cifre e le motivazioni variano a seconda di chi racconta la storia. Ora ci sono segni di corsa al riarmo e si parla di guerra civile imminente. Nei villaggi ho visto molti giovani col fucile a tracollo. Il governo spende il 40% del bilancio nazionale per gli armamenti. Ho visto camion carichi di soldati sfilare per le vie della capitale. Ho visto interi villaggi distrutti e case bruciate. È noto che ha morire e a soffrire sono in gran parte i civili, soprattutto donne e bambini. Naturalmente i figli dei signori della guerra sono all’estero.

Qui intanto non ci sono scuole sufficienti, non ci sono ospedali attrezzati, non si riparano o costruiscono strade, non si pensa ai servizi sociali. C’è scarsità di generi di prima necessità, ma c’è abbondanza di armi, prodotte e vendute dalle nazioni che hanno firmato solenni dichiarazioni di pace. Come sempre, “quando gli elefanti lottano, è l’erba che viene calpestata”.

I vescovi sudsudanesi hanno alzato la voce:

“Dichiariamo solennemente che la guerra in atto in Sud Sudan è immorale. Non esiste alcuna giustificazione morale per continuare ad uccidere. Non possiamo accettare alcuna scusa o condizione da parte di qualsiasi partito o individuo per la continuazione della guerra. I combattimenti e le uccisioni devono cessare immediatamente e senza condizioni. Dichiariamo di fronte a Dio che è immorale per qualsiasi partito continuare ad usare la violenza per portare avanti la propria agenda politica” (Settembre 2014).

“Da pacem, Domine, in diebus nostris, quia non est alius qui pugnet pro nobis, nisi tu Deus noster”.

  • GIORGIO BIGUZZI.
  • Giuba, 26 novembre 2014.


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