Skip to main content

I Profeti: QUANDO LA VITA DIVENTA MISSIONE

Condividi su

Dopo gli interventi del biblista bolognese Maurizio Marcheselli, che ringraziamo per lo splendido servizio su “la missione secondo Giovanni” ai lettori e amici di MO durante l’anno 2010, quest’anno firmerà la rubrica “Parola e missione” Flavio Dalla Vecchia, che ci guiderà alla scoperta della missione sulle orme dei Profeti d’Israele. All’origine di ogni attività profetica sta un particolare incontro con Dio, tramite il quale una persona che sembrava avere un cammino già tracciato vede la sua vita determinata da una parola cui non è in grado di opporre resistenza. La parola raggiunge i Profeti in circostanze diverse: nel deserto (Mosè); nella cornice del tempio (Isaia); lungo un fiume, in esilio (Ezechiele); mentre si svolge la propria attività abituale (Amos o Eliseo). A partire da questo incontro la vita diventa missione, cioè consapevolezza di essere inviati a portare un messaggio. “Non dire: ‘Sono giovane’. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò” (Ger 1,7).


PROFETI, DALLA MARGINALITÀ AL CENTRO DELLA STORIA

Dio parla tramite esseri umani, in genere in congiunture storiche particolarmente critiche. Si tratta di persone che Dio stesso ha tratto da una loro apparente marginalità per innestarle al centro delle vicende del proprio popolo. La storia ci segnala tali vicende: un popolo ridotto in schiavitù da un potere assoluto, quello appunto con il quale si confronta Mosè; oppure un popolo in balia delle mire imperialistiche del potente di turno, come è il caso di Isaia, Amos e Osea che devono fronteggiare la potenza assira, o di Geremia ed Ezechiele che sono testimoni del tracollo della propria nazione sotto la pressione dell’impero neobabilonese.

Un tempo Dio è intervenuto direttamente nell’agone politico con prodigi e segni per strappare il suo popolo dalla schiavitù, come narra il libro dell’Esodo; la storia successiva non prosegue tuttavia così. Ora Dio interviene tramite la parola di esseri umani (cf. Dt 18,9-22) per sollecitare fedeltà e indicare un percorso che spesso va contro i puri calcoli politici o i giochi diplomatici che possono illudere di conquistare da soli la pace e la sicurezza.

I profeti sono persone di varia estrazione sociale – contadini, sacerdoti, funzionari pubblici – la cui caratteristica principale è quella di mettersi al servizio di una proclamazione,

come appunto fa Isaia di fronte alla richiesta divina: “Udii la voce del Signore che diceva: ‘Chi manderò e chi andrà per noi?’. E io risposi: ‘Eccomi, manda me!’” (Is 6,8).

LA MISSIONE PROFETICA CONTRO LA SANTA INDIFFERENZA

Nella loro predicazione emerge con chiarezza che non ci si trova di fronte a invasati o a massimalisti, ma a persone che con lucidità mettono in guardia di fronte a scelte avventate o sconsiderate che mettono a repentaglio la vita della loro nazione. Nello stesso tempo, non sono semplicemente analisti o sociologi, dato che si presentano come portavoce di Qualcuno, quasi come un messaggero che legge il contenuto di una lettera al destinatario (Così dice il Signore: espressione con la quale iniziano molte loro prese di parola).

Nel loro caso, però, il mittente della lettera è Dio e il destinatario è il popolo, spesso interpellato nella persona delle sue guide, i re.

Ciò chiarisce, ad esempio, che la motivazione che spinse profeti come Amos e Michea a formulare accuse infamanti alle classi agiate dell’Israele antico era la loro consapevolezza di essere investiti di una missione divina e non soltanto una prospettiva di rivendicazione sociale. In quanto portavoce di Dio, compito del profeta non è infatti soltanto e primariamente annunciare la futura opera di Dio, sia essa castigo o salvezza, ma soprattutto aiutare le persone a prendere coscienza della loro posizione di fronte al mondo e soprattutto a Dio. Gli avvenimenti contemporanei sono dunque il contesto che illumina la missione dei profeti, poiché tali avvenimenti li vedono coinvolti; per loro non esiste la santa indifferenza, essi si presentano invece come persone schierate, in primo luogo dalla parte di Dio, sebbene la loro missione non sia quella di difendere Dio, bensì di mettere ciascuno di fronte alla propria responsabilità nei confronti del futuro, come bene mostra Geremia allorché interpella la folla che si reca al tempio di Gerusalemme: “Se davvero renderete buone la vostra condotta e le vostre azioni, se praticherete la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia dèi stranieri, io vi farò abitare in questo luogo, nella terra che diedi ai vostri padri da sempre e per sempre” (Ger 7,5-7).

UNA PAROLA “DEBOLE” ANCHE SE DIVINA

Nessuna fuga in avanti, tuttavia, né rimpianti di epoche passate: il presente ha bisogno di essere illuminato, per poter trovare la strada da percorrere, proprio come un tempo il cammino nel deserto è stato possibile perché Dio si è messo alla guida di un popolo disorientato; anche la vita può essere un deserto, privo di segnaletica, in cui ci si può perdere. La parola profetica si propone come segnale, come avvertimento o promessa, come accusa o consolazione, come condanna o offerta di perdono.

Ciononostante è necessario riconoscere che, proprio perché l’unica garanzia che i profeti potevano offrire alla loro parola era la consapevolezza di essere mandati da Dio (non così per Mosè, dato che Dio gli conferisce anche il potere di compiere prodigi), la loro parola, allorché era pronunciata sulla scena pubblica risultava, soprattutto nel contesto del dibattito politico, una parola debole:

chi garantiva che la loro convinzione di parlare a nome di Dio non fosse solo frutto di autosuggestione? Quali prove potevano fornire che il loro messaggio doveva essere messo in pratica?

Potremmo rispondere, con Dt 18,22: quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui. Il criterio sarebbe dunque che la parola pronunciata dal profeta si realizza. La storia non è tuttavia così lineare. E non sono mancati momenti in cui anche i più devoti tra gli ebrei si interrogavano sulla effettiva realizzazione delle promesse profetiche (emblematico è il dubbio di Daniele nel cap. 9 del suo libro). Se poi prendiamo i profeti dell’epoca precedente l’esilio ci si può chiedere quale fosse il loro scopo? Leggendo soprattutto Geremia, ci accorgiamo che al centro sta l’annuncio del giudizio divino.

Ma perché questo annuncio? Per invitare a conversione?

Se, però, si legge la vicenda del profeta Giona si può dubitare che i profeti pensassero così, dato che Giona reagisce stizzito al perdono che Dio concede alla città peccatrice e secondo lui destinata alla distruzione. In effetti, se Dio ha deciso la condanna, che senso ha credere o convertirsi? Se, però, Dio cambiasse decisione, la parola del profeta sarebbe ancora da ritenere vera?

TRA PROMESSE DIVINE E MALEDIZIONE

Eppure proprio l’interpretazione dell’annuncio profetico come proclamazione della sventura minacciata può diventare la chiave per capire che cosa è avvenuto della parola dei profeti. Leggendo infatti il libro del Deuteronomio, un libro che tiene presente la catastrofe dell’esilio, possiamo notare che in esso le promesse divine espresse in occasione del patto tra Dio e il suo popolo sono controbilanciate dalla maledizione: la prosperità del popolo è garantita solo nella misura in cui rimane fedele alla legge del suo Dio. Il Deuteronomio si propone infatti come rilettura della storia d’Israele al fine di spiegare come mai Dio abbia reso possibile l’esilio, cioè il fatto che le promesse divine apparentemente fossero venute meno.

In tal senso, la letteratura profetica è ripresa dopo l’esilio con la stessa funzione che assume la rilettura dell’Antico Testamento in Lc 24,13-35 (i discepoli di Emmaus).

Il popolo in esilio si domanda: perché la nostra storia è risultata fallimentare? Rileggendo i profeti, il popolo comprende che la storia non è sfuggita al controllo divino: la catastrofe è stata invece il risultato dell’infedeltà del popolo al patto stipulato con il suo Dio, un’infedeltà a lungo denunciata dai profeti, la cui voce ha trovato spesso sorde le orecchie dei loro contemporanei.



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito