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Vangelo e conversione in Colombia

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Padre Ballabio è brianzolo, nato e cresciuto a Lissone. Ha conosciuto i saveriani a Desio ed è stato ordinato sacerdote nel 1978. Dopo un breve periodo in Spagna, è partito per la Colombia, dove ha lavorato per oltre vent’anni. Ora è a Parma, a servizio della procura delle missioni saveriane.

L’esperienza missionaria in Colombia ha segnato profondamente la mia vita di missionario. Ricordo ancora il mio “battesimo”. Un pomeriggio, con un padre di famiglia, sono andato ad amministrare l’unzione degli infermi a una malata. Improvvisamente, venimmo assaliti da due giovani che, con il coltello alla gola, ci chiedevano soldi. Mi ferirono con le unghie e il sangue aveva macchiato la camicia. Trovandomi solo l’orologio in tasca, mi dissero che ero stato fortunato ad avere qualcosa, altrimenti avrebbero conficcato il coltello nella gola.

La notizia si sparse per tutta la parrocchia e la sera, prima della Messa, alcune famiglie vennero da me, mi chiesero la camicia per lavarla e mi regalarono un orologio di poco valore: “Un colombiano ti ha rubato e ti ha ferito, ma altri colombiani ti chiedono scusa e ti regalano l’orologio”. Da qual momento mi sono davvero sentito amato.

Dalla vendetta al perdono

Ho trascorso anni intensi di lavoro con i giovani. Mi sentivo a mio agio lavorare con loro. Sono stato responsabile della pastorale del vicariato di Buonaventura e promotore vocazionale. Ho potuto accompagnare 17 giovani all’altare, tra i quali anche missionari e religiose. Il Signore ha voluto anche che un giovane diventasse saveriano, p. Gerardo Pretel, ora missionario in Congo.

Un altro momento importante è stato quando mi sono trasferito nella città di Cali. Qui, mi sono impegnato anche nei gruppi di evangelizzazione.

Ho vissuto l’esperienza della Parola di Dio, capace di provocare straordinarie conversioni. Una mi ha particolarmente colpito.

Un sabato è venuto da me un papà, che mi ha consegnato un pacchetto. Dentro c’era una pistola appena comprata. Era destinata a uccidere il ragazzo che due anni prima gli aveva barbaramente assassinato il figlio con un cacciavite, per rubargli un paio di scarpe. Racconta: “In questi due lunghi anni ho covato la vendetta. Ho scoperto dove si trova il giovane e ho messo da parte i soldi per acquistare la pistola e pagare un sicario. Ma ieri sera, durante la riunione del gruppo di vangelo in casa mia, il Signore mi ha illuminato. Padre, avrei bisogno che lei venga con me dal ragazzo…”.

Ci siamo messi in cammino. Arrivati in uno spiazzo, vi troviamo un gruppo di giovani. Ci fermiamo e il papà chiama ad alta voce per nome il giovane che aveva ucciso suo figlio. Il capobanda si avvicina con sicurezza e arroganza. Erano uno di fronte all’altro come due contendenti. Il giovane inizia a insultare, non preoccupato della mia presenza. Calò un pesante silenzio e nella mia mente non facevo altro che mormorare preghiere. Poi, il papà con un gesto sorprendente s’inginocchia davanti al giovane e ad alta voce dice: “Non mi alzerò da qui fino a quando tu non mi avrai perdonato perché ho pensato di toglierti la vita”.

C’era attorno un silenzio che parlava di amore. Gli amici del giovane se ne andarono e abbandonarono il loro capo. La gente attorno aveva gli occhi pieni di lacrime di gioia e di ammirazione. Io mi sentivo piccolo e impotente davanti a un gesto così grande da parte di quel papà inginocchiato.

Il giovane abbassa le ginocchia, allunga le braccia e gli dice: “Io ti ho tolto un figlio, se vuoi hai trovato un figlio!’’. Scoppiarono in pianto e con gioia si strinsero forte.

Da quel momento il giovane trovò una famiglia e la famiglia ritrovò il figlio maggiore che le era stato tolto.



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