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Una città nella città. È il carcere uno e due di Hortolândia. Nell’anno della misericordia non potevamo dimenticarci di questi nostri parrocchiani atipici: ben undicimila. Già da tempo chiediamo alla gente di pregare per loro. La marcia della misericordia si è conclusa proprio di fronte alle mura del carcere. Bisogna visitare i carcerati, ma sarebbe meglio che nessun giovane entrasse in quelle mura!

“Suoi figli, miei fratelli!”

Insegniamo a guardare questi nostri fratelli con l’occhio del Padre; per il Misericordioso sono sempre suoi figli, sue immagini, nonostante il passato. Suoi figli, miei fratelli! Ogni persona umana deve imparare a vedere l’altro, chiunque sia, con occhi di misericordia.

Sono tutti miei figli”, ebbe a dire un giorno san Guido a chi parlava male di un passante bestemmiatore. Assassini o ladri, spacciatori di droga, anche innocenti in attesa di giudizio, sono sempre e tutti suoi figli, sue creature.

Visitare i carcerati”, dice una delle opere di misericordia. Ma non è facile: sicurezza, burocrazie, controlli vari... La nostra riflessione si è spostata sui visitatori che, nella quasi totalità, sono visitatrici: mamme, spose, sorelle.

Ci siamo fatti una domanda: soffre più il carcerato o la mamma, che ogni settimana, dopo un viaggio faticoso, fa una fila di ore e ore sotto il sole cocente e, per entrare, è sottoposta a controlli spesso umilianti? Abbiamo deciso, dopo averci pensato su, di allestire tre tende: la tenda del deserto, dell’accoglienza e della riconciliazione.

La solidarietà per i visitatori

La tenda del deserto è formata da un gruppo di parrocchiani che si mettono accanto alla fila di chi aspetta per entrare, passando per il primo e per il secondo controllo (nel terzo non si entra!). Costoro si fanno conoscere come cristiani cattolici, offrono un caffè e ascoltano, tanto. A volte la parola di consolazione è solo il silenzio. Rallegra il pensiero vedere che qualcuno ha pensato a loro e che sta loro accanto per qualche minuto.

La tenda della accoglienza. Sotto una tettoia, un altro gruppo di parrocchiani accoglie chi, dopo un viaggio durato tutta la notte, vuol sedersi e riposare, prendere qualcosa da bere e mangiare. È un segno di accoglienza e solidarietà verso chi sta visitando il carcere.

La tenda della riconciliazione. A circa 300 metri dal carcere, in una delle nostre cappelle, c’è la possibilità di accedere al sacramento della Riconciliazione.

Mescolati nella fila di chi ha parenti in carcere, cerchiamo di far sentire “il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità, stringiamo le loro mani”. Divulgando questa iniziativa oltre i confini della parrocchia, diamo il nostro piccolo e povero grido, affinché

“insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo” (Bolla 15).



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