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Virginia Isingrini (nella foto) inizia la collaborazione con “Missionari Saveriani”. Entrata tra le saveriane nel 1974, ha emesso la professione perpetua nel 1984 in Messico, dove è missionaria. È stata animatrice vocazionale, poi, per vent’anni, formatrice di aspiranti saveriane. Ora, guida corsi di spiritualità, tiene conferenze, collabora con la Scuola per formatori con sede a Morelia. Ha conseguito il baccellierato teologico (Urbaniana) e il master in psicologia (Gregoriana).


LA PAROLA

Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora, Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore e con lui partì Lot. (Gen 12, 1-4a)


Il libro della Genesi si apre con un inno alla vita. Dio, attraverso la sua parola, fa sorgere dal caos terre e oceani, cieli e astri, piante e animali, fino ad arrivare alla sua creatura prediletta, quella che è chiamata a dare senso alle meraviglie del creato: l’uomo e la donna.

Commuove vedere questo Dio che alla fine si compiace della bontà e della bellezza di tutto ciò che esiste, una bontà che verrà presto minacciata dal peccato e dal male. Eppure, anche quando una porta si è chiusa alle spalle di Adamo, cacciato dal paradiso, quell’inno alla bellezza non finirà. Il cammino verso l’albero della vita, che sembrava precluso per sempre, è ripreso attraverso i passi di un altro uomo scelto da Dio, in un paese lontano.

Abramo è lo straniero che fa riprendere la storia umana non all’ombra della colpa, ma di una benedizione. Abramo è benedetto da Dio e in lui sono benedette tutte le famiglie dei popoli, ma a patto di partire: “Vai, esci da ciò che conosci e ti è familiare per andare verso ciò che non sai e che ti starà sempre davanti”.

E questo antico viandante partì giocandosi tutto sulla parola che gli fu rivolta da Dio: “La terra che t’aspetta è grande e grande sarà il tuo nome, e i tuoi figli saranno numerosi come le sabbie del deserto e le stelle dell’oriente”. Anche Dio si giocherà tutto pur di mantenere questa promessa. Ma il cammino di Abramo sarà lungo e difficile, perché la meta svanirà più volte davanti ai suoi occhi.

Eppure, la parola del suo Signore non l’abbandonerà mai e si stringerà ai suoi piedi come lampada che gli farà luce, anche nella notte più oscura e profonda.

Per avere una discendenza è necessario un figlio. Ma il figlio non arriva. È duro lottare contro le leggi della natura: quali famiglie di popoli possono nascere da due anziani, stranieri e senza terra? Abramo e Sara si mettono a ridere davanti ai tre forestieri che portano la notizia della nascita di Isacco. Ridiamo anche noi di fronte a certe promesse del Signore, ci sembrano così impossibili, così fuori dalla nostra portata!

Ma chi si è fidato una volta può farlo anche la seconda. E il figlio arriva. Certo, un figlio solo è un po’ poco per immaginare di dare origine a un grande popolo. Dovrà essere molto, molto fecondo perché non diventi un altro sogno frustrato. Ed ecco giungere l’incomprensibile comando di Dio che chiede ad Abramo di sacrificare Isacco su un monte che gli indicherà cammin facendo.

Ancora una volta Abramo è chiamato ad uscire, ma questa volta da se stesso, da quel suo cuore lacerato di fronte a un figlio a cui doveva dare la morte: esodo ben più lungo e lacerante di quello percorso da Ur dei Caldei fino a Canaan. Eppure, anche lì, Abramo sa che su quel monte l’Altissimo provvederà. Sa che il suo è il Dio della vita, dell’amore che ha promesso di non venire mai meno. E confidò ancora in Lui: il coltello gli cadde finalmente dalle mani.

Ed è così che Abramo diventa padre dei popoli, anche di quelli che non conoscono il suo Dio, diventa una benedizione vivente, senza parole.

Sui tuoi passi, oh Benedetto, ha ripreso a scorrere la storia del mondo.



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