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Una foto d'epoca ritrae l'arcivescovo Guido Conforti insieme ai docenti del seminario di Ravenna. La sua statura fisica supera quella degli altri: il volto giovane, i lineamenti gentili. È il caso di dirlo: san Guido era un "bel vescovo". Ma la sua bellezza suprema si vedeva negli incontri.

Con i fedeli si comportava come un padre con i propri figli. Con i collaboratori, anche di cultura e idee diverse, voleva essere come un fratello. In ogni circostanza sembrava obbedire a un impulso interno: trattare tutti con garbo. Perché, come dice il card. Ravasi, "la gentilezza è la carità nelle piccole cose. Amare vuol dire anche trattare l'altro con rispetto, vuol dire affabilità e attenzione, riguardo e finezza; insomma, quelle che una volta si chiamavano le buone maniere o la buona educazione".

E infatti, quando papa Pio X accettò le dimissioni dell'arcivescovo Guido, tra la gente di Ravenna molti avevano imparato, da tante piccole cose, la saggezza con cui egli aveva cercato di rimodellare secondo il vangelo una diocesi che, nella mente dell'alto clero dell'epoca, continuava a essere considerata "la Cina d'Italia".

La sua stanza e la cappella

A Parma i suoi missionari accolsero il ritorno del loro padre e fondatore con gioia e trepidazione. Tutti confessavano l'importanza determinante della sua presenza in mezzo ai giovani missionari. D'altra parte, tutti si mostrarono preoccupati di assicurargli un ambiente che, insieme all'aria natia, gli permettesse il passaggio a ritmi di lavoro più rispettosi del suo stato di salute.

Riservarono per lui una stanza al primo piano dell'edificio che egli stesso aveva fatto costruire. Accanto alla stanza, la cappella che custodiva lo stemma dell'istituto con il motto, "Charitas Christi urget nos - L'amore di Cristo ci sospinge". Custodiva anche un quadro del patrono della congregazione, san Francesco Saverio, nell'atto di consegnare alla Madonna figli raccolti da ogni tribù e lingua.

Nella stanza a lui riservata san Guido poteva custodire i ricordi più cari, dedicarsi con calma allo sviluppo del suo istituto missionario. In tutto, obbedendo a una sola preoccupazione: fare bene ogni cosa, perché solo così si costruisce il regno di Dio. La stanza del vescovo è rimasta com'era il 5 novembre 1931, giorno della sua morte: pareti bianche di calce, mobili essenziali, fili elettrici a treccia che portano luce alla lampadina del soffitto.

Il suo santo prediletto

Di sua iniziativa, il Conforti aveva fatto appendere sulla parete, accanto al letto, un ritratto di san Francesco di Sales: il vescovo che, nella fase più cruenta dello scisma tra protestanti e cattolici del 1500, si era adoperato con tutta dolcezza a far intendere alla gente che Dio è accogliente e misericordioso, con il cuore trafitto dall'amore.

In alcune omelie pronunciate a Ravenna, san Guido aveva parlato di questo grande santo. Lo aveva presentato come profeta disarmato, che sapeva recuperare gente contaminata dall'inimicizia con parole che andavano dritte al cuore: "Dove il Signore ci pianta, là noi dobbiamo fiorire"; oppure, "Siate quello che siete, ma desiderate di esserlo in modo perfetto".

San Guido si era rivolto al "Salesio" - così lo chiamava - per non scoraggiarsi nel soprassalto di difficoltà e condizionamenti che ogni giorno trovava sul suo cammino. Lo considerava modello e testimone, per il fatto che il santo vescovo di Ginevra aveva speso tutta la vita in una regione dove cattolici e calvinisti erano profondamente divisi.

Hai scelto il tuo santo?

L'aveva scelto come compagno di viaggio, per affrontare i rischi di una lacerazione definitiva all'interno delle famiglie e dei borghi della diocesi di Ravenna, senza dimenticare le divisioni tra i cattolici - soprattutto tra preti e religiosi - che accettavano con fatica le decisioni del concilio Vaticano I (1869-70) di Trento. Il santo vescovo di Ginevra aveva vissuto una missione pastorale difficile e rischiosa, con sofferenze non inferiori a quelle che sopportavano i missionari in Cina. Questo fatto era molto importante per san Guido che sentiva addosso il fuoco della missione.

I due santi erano uniti anche nel dialogo tra Dio e la loro coscienza. Francesco si sentiva chiamato dal Sacro Cuore di Gesù; Guido si sentiva chiamato dal Crocifisso. Ambedue rispondevano allo stesso modo: "Mio Dio, ti amo con tutto il cuore e, per questo amore, amo il prossimo mio come me stesso".

In fondo, anche ciascuno di noi cerca un amico santo per avanzare nella traversata della vita, non da soli ma in buona compagnia. San Guido lo ha sperimentato e per questo può consigliarci a fare lo stesso: avere un santo ...per buona compagnia.



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