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La Missione: Dolore, speranza e orgoglio

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Padre Claudio è un saveriano bresciano, attualmente responsabile della missione di Kaizuka, nella diocesi di Osaka, e direttore di una scuola per l'infanzia.

Cerco di mettere insieme qualche riflessione sui terribili eventi vissuti dal popolo giapponese, di cui condivido le vicende e di cui sono testimone, non certo distaccato.

Se nelle immagini pur drammatiche, raramente si vedono lacrime versate, e comunque sono sempre molto composte, nei momenti di solitudine non riesco a frenare le mie di lacrime. Non sono segno di debolezza: insieme al dolore, provo anche speranza, gratitudine e orgoglio di essere in Giappone, soprattutto in questi momenti. E sono tanti i motivi che rafforzano l'amore e la solidarietà.

Tante lezioni di vita e di fede

Provo dolore per le notizie sempre più gravi, le vittime accertate e i dispersi; per la situazione dei 450mila sfollati, tra freddo e malattie, per l'incertezza e la preoccupazione di ciò che sarà nei prossimi mesi; per il fatto di essere distante e non poter fare più di tanto per condividere la sofferenza.

Nutro speranza per tante piccole storie di solidarietà e di eroismo che superano l'ambito personale o famigliare, ma si estendono a tutti indistintamente; sono incapace di narrarle tutte, ma difficilmente si cancelleranno dalla mia memoria.

Sento l'orgoglio di sentirmi parte di questa gente meravigliosa, così come del mio paese natale, da cui mi arrivano solidarietà e affetto. Ricevo tante lezioni di vita e di fede che varcano i confini di razza, cultura e religione.

In mezzo a tanta sofferenza, invito tutti a raffinare la propria sensibilità senza aspettare le catastrofi. Siamo figli dello stesso Padre e qualche lacrima in più, unita a qualche gesto nello stile di vita quotidiana, siano il nostro segno distintivo che diventa anche testimonianza di un mondo più fraterno.

Qui siamo a casa nostra

Anche se noi saveriani siamo lontani da Fukushima, questo non ci esenta dal sentirci presenti e attivi nelle nostre comunità. Abbiamo gentilmente respinto l'invito dell'ambasciata italiana a fare ritorno in patria, perché questa è la nostra casa. È dovere di noi missionari rimanere dove tutti sono, senza privilegi speciali. La nostra famiglia è quella della gente dove viviamo. Noi qui siamo già a casa nostra e ci sentiamo contenti e sicuri quando siamo con loro.

Ho avuto confratelli che per la stessa ragione sono morti martiri in Burundi e in altre parti del mondo. Non sono atti di eroismo, ma di condivisione della stessa sorte; è l'occasione di testimoniare qualcosa che supera le appartenenze di razza e religione. L'unica cosa che pensiamo è come condividere i disagi delle persone colpite, come infondere coraggio e speranza.

I sorrisi dei nostri bambini

I bambini fanno parte della mia vita quotidiana, anche perché ho la responsabilità di gestire un asilo parrocchiale. I loro sorrisi e la loro vivacità sono un toccasana che scaccia la tentazione di scoraggiamento. La mia giornata inizia con la celebrazione della santa Messa, nella quale tutto ritrova significato, anche ciò che stiamo vivendo ora. Poi il mio pensiero va all'accoglienza dei bambini dell'asilo e dei genitori che li accompagnano.

Insieme alla preghiera quotidiana e alle parole di spiegazione delle maestre, coinvolgiamo i bambini e le famiglie in una raccolta per aiutare gli sfollati.

Alcune famiglie cristiane non solo hanno raccolto offerte in denaro, ma si sono imposte di condividere i disagi, rinunciando a parte del riscaldamento, limitando l'uso della corrente, diminuendo il consumo dei generi alimentari e così via. Un segno di solidarietà: una scelta di stile di vita, anche se temporanea. Di questi tempi, non sono cose da poco.

Il nucleare in Giappone e altrove

La confusione è tanta, come l'emozione. La gente non si fida delle risposte ufficiali dei politici e dei responsabili della centrale nucleare. Si diceva che nulla di grave era successo (ma nove persone erano già state contaminate!), ma poi c'è stata l'esplosione della struttura di un reattore, vista in diretta da milioni di persone. Ciò ha costretto a svelare la situazione drammatica in atto: "Non possiamo permetterci di stare tranquilli!", sono state le gravi parole del primo ministro.

I danni della contaminazione nucleare non si riusciranno mai a calcolare, non solo quelli economici ma anche il danno effettivo al morale della gente. Il sacrificio, il panico, l'ansia e anche la rabbia crescono quando le prime vittime sono i piccoli. I segni resteranno impressi per sempre anche in chi non ha visto l'orrore dello tsunami. Il pericolo invisibile fa ancora più paura ed è difficile da esorcizzare, soprattutto se colpisce con lunghe scadenze.

Mi hanno sorpreso i commenti di alcuni politici italiani. Non si rendono conto della gravità delle loro affermazioni, passando sopra le sofferenze e le paure della nostra gente. Non dico altro, per non entrare nel merito di certi problemi che attraversano l'Italia e l'Europa.

"Non è ancora finita..."

"Non ne potevo più dalla sete, ma sull'acqua galleggiava liquido oleoso. Avevo assolutamente bisogno di bere, e ho bevuto quell'olio". Queste parole scolpite sulla lapide della "Fontana della preghiera", all'entrata del "Parco della pace" di Nagasaki, sono tratte dal diario di una bambina che il 9 agosto 1945 fu colpita dalle radiazioni della bomba atomica. Parole che rimangono a monito.

Sommessamente e con rassegnazione, si dice che "non è ancora finita". È questa la frase-chiave del dramma e della speranza: non è finita la sfida delle condizioni esteriori di ostilità; non è finita la capacità interiore di imparare e crescere in saggezza e solidarietà.

La macchina piena e gli scaffali vuoti

Il segno positivo è quello della collaborazione di tutti per dare anche solo un piccolo aiuto a chi è nel bisogno. Ma rimane il problema di sapere fino a quando perdurerà questa situazione, quante cose inizieranno a scarseggiare, quanto saliranno i prezzi, soprattutto dei generi alimentari? Due piccole storie interessanti per capire i sentimenti e le azioni contrastanti di questi giorni in Giappone.

La macchina piena

Tornando verso la missione di Kaizuka, alla radio ho ascoltato una vicenda che mi ha stupito. Un negoziante ha raccontato di un individuo che è entrato di sera nel suo negozio, ha fatto incetta di ogni cosa, ha pagato e caricato tutto in macchina. Imbarazzato per l'atteggiamento così egoista in un momento di bisogno generale, il negoziante non ha potuto fare nulla.

Il mattino dopo, la sorpresa. All'ora di apertura del negozio, il signore della sera precedente era parcheggiato davanti all'ingresso in attesa. L'uomo ha chiesto al negoziante di aiutarlo a scaricare tutto quello che aveva comprato, dicendo di aver provato vergogna per ciò che aveva fatto, e restituiva tutto per donarlo alle famiglie colpite dal disastro...

Gli scaffali vuoti

Kaizuka è distante mille chilometri da Fukushima, ma gli allarmi per l'acqua inquinata hanno fatto scattare la paura anche qui. L'altro giorno è venuta a trovarmi una signora che abita vicino a Tokyo. Sperava di portare in regalo qualche bottiglia di acqua a una famiglia con un bambino piccolo, visto che consigliavano di non bere l'acqua di Tokyo.

Mi sono offerto di andare a fare la spesa, ma in nessun supermercato di Kaizuka e dintorni sono riuscito a trovare una sola bottiglia. L'acqua era sparita dagli scaffali per essere spedita a chi ne faceva richiesta urgente a Tokyo e nelle vicinanze della centrale nucleare.


Su youtube del 18 marzo 2011, una produzione di p. Claudio Codenotti, "Dedicato ai Giapponesi", al link: www.youtube.com/watch?v=68eFdP3NrVc



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