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La missione crea rapporti nuovi

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Reyna aveva incontrato per la prima volta le saveriane sull’altopiano del Messico, quando era ancora adolescente. Ne era rimasta affascinata al punto di dire: “Andrò in missione per vivere un amore più grande”. Mantenne la promessa e, una volta sbarcata in Giappone, dedicò i primi due anni allo studio della lingua.

Il linguaggio dei segni

Subito le fu richiesto di andare a insegnare inglese nelle scuole materne. Dopo qualche anno, è passata a insegnare lo spagnolo all’università. La sera tornava in parrocchia per recitare il rosario insieme ai missionari e a un piccolo gruppo di cristiani.

È soprattutto nelle relazioni con i parrocchiani che Reyna provava la sincerità del suo amore.

Ad esempio, in Giappone la chiesa si prende cura dei sordomuti che vivono nel territorio. Reyna lo ha notato e ha preso contatto con una signora che le ha insegnato la lingua dei segni. Grazie all’attenzione delle due donne, i sordomuti cristiani riescono ora a seguire meglio le preghiere e gli incontri, mentre con i sordomuti non cristiani Reyna si trova più facilmente in compagnia.

In cammino con i migranti

Reyna è entrata a far parte anche del gruppetto di parrocchiani che si fa carico degli immigrati clandestini. Come in Italia, anche in Giappone, in questi ultimi anni è aumentato il flusso dei migranti clandestini: cinesi, peruviani, colombiani…

I cristiani giapponesi vanno loro incontro rendendosi presenti alle feste dei migranti. Poi preparano i figli degli immigrati a ricevere i sacramenti. L’impegno aumenta quando si tratta di preparare al matrimonio un giapponese che ha deciso di sposare un’immigrata (o viceversa). Non è raro avere a che fare con degli analfabeti.

La coppia di sposi peruviani e… il complotto

Reyna ha vissuto la sua esperienza più forte con una coppia di sposi peruviani. Lei aveva seguito lui in Giappone e pagava le conseguenze dell’isolamento di chi non parla una parola di giapponese. Il marito scaricava le sue tensioni sulla moglie, alla quale capitò di trovare, per prima, un lavoro. E quando lei tornava a casa, si trovava di fronte un uomo violento.

Un giorno la moglie riuscì a esporre la sua situazione a un’amica giapponese, collega di lavoro. L’amica raccontò a Reyna che un mattino la peruviana si era presentata al lavoro con la faccia tumefatta e piangeva silenziosamente. Reyna e l’amica cominciarono ad aggiornarsi a vicenda. L’amica aveva intuito che lei desiderava tornare al suo paese di origine, ma i documenti erano custoditi dal marito.

Le due donne, in seguito, fecero insieme i passi successivi. Per prima cosa, l’amica e Reyna insieme esposero il caso al datore di lavoro. Questi invitò il marito a consegnargli i documenti personali della donna per i necessari controlli.

Poi, si accordarono con un sacerdote giapponese e una suora spagnola, su dove prelevare la peruviana e accompagnarla all’aeroporto di un’altra città. Per non insospettire il marito, il giorno stabilito la peruviana uscì di casa con abiti da lavoro, senza borsa. Il marito l’accompagnò in bicicletta fin fuori dalla fabbrica. Il prete e la suora, ben appostati, la scortarono fino all’aeroporto, dove il marito dell’amica attendeva la peruviana per scortarla fino all’imbarco...

Una separazione “inevitabile”

Questo episodio è riemerso nella memoria di Reyna alla vigilia del sinodo sulla famiglia, ora che papa Francesco ha dichiarato: “Ci sono casi in cui la separazione tra i coniugi è inevitabile; a volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole alle ferite più gravi, causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento”.



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