La missione chiama: Nella chiesa dei congolesi
Penso alla gente del Kivu, in Congo, e alle vittime innocenti di tanti popoli che oggi portano l'umiliazione della fame e il peso della guerra. Penso al cammino della famiglia di Nazareth, povera e perseguitata. È il segno di milioni di persone costrette a fuggire dai loro villaggi, vittime di tante violenze, a errare nella foresta o a rifugiarsi in campi profughi senza adeguata assistenza.
Nella chiesa dei congolesi a Roma, durante la settimana per la pace nel Kivu, l'ho sentito in modo particolare. Insieme, siamo scesi nel fondo del dolore che stanno vivendo la gente e le nostre comunità. La loro sofferenza è sconvolgente: violenze, stupri, panico, fame; tante famiglie senza riparo e protezione. Nel silenzio, davanti alle immagini degli sfollati, agli sguardi profondi dei bambini, ai loro appelli, abbiamo sentito la loro presenza e la forza potente del Male che sembra frantumare il dono bello della vita.
Forse proprio nell'abisso della violenza della guerra, appare più evidente la ricchezza del dono negato della vita: il corpo, le relazioni, il calore di una mano, l'aria e il cielo, il campo e i doni semplici di ogni giorno. "Perdonaci Signore - pregano a Goma - perché abbiamo permesso che le acque torbide del Male attraversino le nostre città, le nostre campagne, i nostri cuori".
C'è ancora chi ignora il vero motivo della guerra, causa di tanta sofferenza, che i vescovi congolesi hanno denunciato come "genocidio silenzioso" e "guerra paravento per coprire il saccheggio delle ricchezze minerarie del paese". Ringrazio il Signore perché con il dono della fede ci libera dalla tentazione di evadere dalla realtà drammatica, e allo stesso tempo ci aiuta a scoprire anche le forze del Bene presenti nel cammino dell'umanità. Forze umili e forti che sgorgano dal cuore stesso della vita.
Vedo le porte di povere famiglie che si aprono davanti agli sfollati e il pugno di fagioli o di manioca condiviso con chi non ha nulla. Donne e uomini che anche nella pioggia e nella notte preparano il domani e organizzano la sopravvivenza (tentano). Ricordo il gruppo delle donne che sono andate a Kigali (Rwanda) per chiedere al presidente di ritirare le sue truppe dalla regione e continuano la loro diplomazia popolare recandosi nelle altre capitali implicate nella guerra.
"La speranza dei poveri - scrive p. Querzani da Bukavu - ha una forza di germinazione divina. Rinasce sempre, nonostante i drammi ripetuti dell'umanità, e finirà per prevalere". In questa luce risplende il Crocifisso-Risorto; l'uomo di Nazareth fratello di ogni uomo. In Lui si manifesta il cuore stesso della vita: Dio-amore. Una presenza concreta diffusa, spesso nascosta.
E mentre penso agli sfollati che continuano a vagare, ritorna l'immagine di una grande Ostia in cui il sangue di Cristo si confonde con il dolore di tanti fratelli e sorelle. Un sangue che c'invita a vivere tutta la solidarietà possibile: preghiera, ascolto, contatti, proposte. Sono tracce di vita che nascono dal legame profondo dell'essere membri dell'unica famiglia umana, opera di Dio, Padre di tutti gli uomini.
I missionari di oggi, come i magi di allora, continuano a raccontarlo al mondo. Hanno lasciato i loro poveri beni e in cambio hanno ricevuto il tesoro umile e grande della fede che sa contemplare e operare, cercando verità e misericordia. Da poco, uno di loro ci ha lasciato. Scrivono da Uvira: "Grazie p. Aldo Vagni, per aver consumato la tua vita nella nostra terra del Congo. Siamo certi che godi la pace del paradiso e intercedi per la pace della nostra terra". Chi avrà il dono di prendere il suo posto?