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La missione chiama: In vacanza con un po' di fede

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Andare. È il desiderio di tanti giovani e adulti; ma "andare" è anche il verbo della missione. Sì, si possono vedere tante cose belle. Rosa mi racconta il suo viaggio in Brasile, il suo stupore davanti alle cascate di Iguazù. Ripenso all'alba che ho visto più volte arrivando ad Addis Abeba: un orizzonte di luce sul cielo infinito, quando anche la terra celebra la lode al suo Signore.

Ma c'è soprattutto un "andare" che significa uscire da se stessi, donarsi, camminare con la gente, come hanno fatto Abramo, Mosè, Gesù e Paolo suo discepolo. È riposo, quando il cammino porta all'incontro con chi ti vuole bene e spezza il pane con te: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi, quando ci spiegava le scritture?" (Lc 24,32). È l'incontro con Gesù, il crocifisso risorto.

È un'esperienza bellissima aperta a ciascuno di noi, come pure camminare insieme a lui come suoi discepoli, imparando a condividere il suo progetto di vita. Un progetto che libera e dà senso alla nostra vita; porta a uscire dal pantano delle paure e dell'egoismo, a incontrare gli altri nella fraternità, cioè con gli occhi di Dio. Spesso mi chiedo perché, dopo aver vissuto tanti anni questa esperienza, non raccontarla specialmente ai giovani e a quanti sono aperti a questa proposta?

Penso che lo Spirito susciti in noi sempre nuove energie perché la sua vita continui a scorrere tra la gente di ogni tempo e di ogni luogo. L'obiettivo è la vita "cristiana" e la disponibilità, perché Cristo continui anche attraverso di noi la sua opera di salvezza: perdono e ­liberazione, amore vero e comunità, cioè famiglia aperta. Scrive Enzo Bianchi: "Il vangelo che può destare la fede non è affidato a un libro, ma a noi: è la nostra vita che deve essere un racconto del vangelo".

"Vi do la mia pace...", dice Gesù. La sua pace nasce dal dono di sé, dall'apertura a tutti. È pace che conosce la croce: penso a tanti nostri missionari, a chi porta il peso di una malattia; una pace che supera le tenebre con la luce. E il seme interiore della pace è già bellezza, armonia, germe di vita. Signore, donaci di lavorare per far posto alla tua pace.

È bello quanto ci ricorda Gesù: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro" (Mt. 11,26). Egli ci insegna la sobrietà come libertà dalle cose, come ha fatto Francesco d'Assisi; la certezza che Dio ci vuole bene, ha cura di noi e opera tra tutti i suoi figli. È questo il motivo forte che ci apre al dialogo e ci fa famiglia allargata. Davvero, ogni uomo e ogni donna è creato a immagine di Dio. Per la Bibbia l'uomo è sempre e in ogni caso l'uomo-di‑Dio. La sua dignità sta nel fatto che Dio lo guarda, lo visita, lo incontra e lo riscatta nella sua storia; e l'uomo ha una speranza e un futuro proprio per questo incontro.

La società complessa in cui ci troviamo a vivere ci offre possibilità imprevedibili per aprire un dialogo a tutto campo: con culture, religioni e popoli. Il dialogo è il modo di stare insieme fra diversi, ed esige atteggiamenti e mentalità adeguate. Richiede una spinta importante, quella che ti fa cercare l'altro, chiunque esso sia, là dove si trova e nelle condizioni in cui è. Significa assumere i pesi e le gioie altrui e farle proprie, ridere con chi ride, piangere con chi piange, farsi carico dei sentimenti altrui per costruire con lui o con lei un rapporto profondo.

Ecco la cultura nuova dei rapporti sociali: nuova perché liberante, portatrice di gioia e serenità, capace di far crescere ognuno di noi verso la pienezza dell'umanità:

per essere la presenza di Gesù vivo, che nella società fa tutti fratelli e sorelle.



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