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Alcuni la chiamano memoria del cuore. Altri affermano che c'è un piccolo angolo della nostra memoria dove ciascuno di noi, i popoli, l'umanità, tutti, custodiamo i fatti più significativi della nostra storia. Ricordi che il tempo non cancella, sensazioni d'infanzia, bagliori, profumi, piccole gioie, suoni. E quando li tiriamo fuori, ci ricreano, ci indicano l'esatta misura della vita.

Nella memoria del cuore io custodisco il racconto particolarissimo della vocazione di un vescovo giapponese, che mi torna in  mente quando mi rendo conto che Dio non si fa condizionare da nessuno, soprattutto se vuol chiamare al suo servizio sacerdoti e vescovi da ogni popolo e nazione. Quel vescovo aveva avvertito per la prima volta la chiamata del Signore mentre era ancora buddista convinto, in Giappone.

Era appena terminata la Seconda Guerra Mondiale: dappertutto gente traumatizzata; nessuno trovava la volontà di ricominciare. Tanto più che le materie prime scarseggiavano ovunque. Era difficile trovare il legno per le travi, il cemento, il vetro, perfino i chiodi di ferro.

A due ore di treno da Hiroshima, dove è stata sganciata la prima bomba atomica della storia, a un missionario era venuta l'idea di ricostruire la chiesa del villaggio. Pensava che sarebbe stato un segno di rinascita per tutti, non solo per i pochi cristiani. Una chiesetta in cemento e legno. Al posto delle vetrate si sarebbe accontentato di fogli di carta di riso, bianca. La gente veniva a guardare davanti alla staccionata del cantiere. Soprattutto i ragazzi.

Qualcuno aveva anche notato che il cantiere rimaneva incustodito da mezzogiorno alle tredici, il tempo di permettere agli operai di vincere la fame con polpette di riso, alghe e tè. Tra i curiosi più interessati c'era anche un giovane buddista, preoccupato di riparare il tetto della sua casetta, in legno. A lui bastava solo di capire dove gli operai appoggiavano il sacco di chiodi durante la sosta. Un giorno ruppe gli indugi.

Durante l'orario di pranzo allargò la staccionata e penetrò nel cantiere. Puntò deciso verso un sacco che l’operaio aveva celato sotto l’impalcatura. Prese una manciata di chiodi, non più di una manciata, perché nessuno notasse l'ammanco. Dopo essersi reso conto che nessuno l'aveva visto, rimise in ordine la staccionata che aveva smosso e in un baleno scomparve sotto il sole del meriggio.

Il giorno seguente, alla stessa ora, era di nuovo là per prendere una seconda manciata. Poi stette lontano dal cantiere per due giorni.  Nel frattempo si era sviluppata una specie di disputa tra il padre e gli operai. Da una parte, il padre, convinto di aver distribuito un numero sufficiente di chiodi per completare il lavoro; dall'altra gli operai che si lamentavano perché da qualche giorno. i chiodi non erano più sufficienti per terminare il lavoro.

Quando il giovane tornò per la terza manciata di chiodi, nacque la vocazione che lo avrebbe portato a diventare vescovo. Tutto filò liscio fino all'attimo in cui aveva appena messo le mani nel sacco. In quel preciso istante gli apparve davanti la figura del missionario, un gigante d'uomo, che da due giorni vegliava sul cantiere durante l'orario di pranzo.

"In quel momento invocai la morte istantanea, - mi raccontava quel vescovo - perché la vergogna più grande per un buddista è quella di esser colto in fallo. Quando uno viene scoperto perde la faccia. Chiusi gli occhi. Sentii la mano del padre che mi strappava il cappello dalla testa. Riaprii gli occhi e vidi due mani enormi. Una che teneva in palmo il cappello rovesciato e l'altra che usciva dal sacco piena di chiodi. Versò i chiodi nel baschetto e tornò ad affondare la mano ancora una, due volte nel sacco e a riversare i chiodi nel cappello. Poi, senza proferire parola, mi guardò fisso negli occhi. Mi riconsegnò il cappello che traboccava di chiodi. Fece un sorriso grande così e mi disse: "Vai!". Quei chiodi, quelle mani, quel "vai", mi hanno cambiato la vita. Ed io che, senza quei chiodi avrei vissuto tranquillamente da buddista, per merito di quei chiodi mi ritrovo cattolico, prete e vescovo".

Sento risuonare ogni tanto nel cuore le confidenze di quel vescovo giapponese, e immancabilmente mi viene voglia di domandare al Signore: "Come hai fatto a tirare fuori la vocazione di un vescovo da un pugno di chiodi?".



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