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Papa Francesco ci aveva avvertito da tempo con la sua enciclica Laudato si’ del 2015 dicendoci che “Tutto è connesso” (117 e 138) nel mondo in cui viviamo. Del resto, già la fisica quantistica aveva rilevato che ciò che succede dall’altra parte del globo tocca anche noi, ammesso che siamo in ascolto e che partecipiamo attivamente alla vita della società umana che abita il pianeta.

Se i numerosi conflitti attivi sul nostro pianeta (169 secondo l’università svedese di Upsala) che avevano spinto papa Francesco a parlare della “terza guerra mondiale a pezzi”, non ci avevano coinvolto più di tanto, il conflitto tra Ucraina e Russia è già da tempo entrato nelle nostre case dal punto di vista mediatico, con l’arrivo dei profughi ucraini e anche toccandoci il portafoglio con il rincaro energetico e prossimamente con quello dei generi alimentari. Questa apertura “forzata” sul mondo rischia però di essere ancora troppo unidirezionale, cioè legata eccessivamente a ciò che ci tocca personalmente e ancora poco consapevole delle implicazioni mondiali di quel “tutto è connesso”!

Come in ogni situazione, i primi ad essere toccati sono sempre i più poveri, coloro che hanno meno difese, meno opportunità, la cui vita non è né garantita, né protetta da alcun intervento strutturale. Se la guerra e i conflitti sono tra le cause principali delle migrazioni di popolazioni che ci fanno toccare con mano il principio del “tutto si tiene”, “tutto è connesso”, “tutto è in relazione”, non foss’altro per le persone che incontriamo in fuga da questi conflitti, rischiamo di dimenticarci di coloro che migrano a causa dei cambiamenti climatici.

Il surriscaldamento del pianeta che, secondo il gruppo di scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental panel on climate change, Ipcc), sta avvenendo più velocemente del previsto, si trasforma in un’altra guerra che porta morte e distruzione in varie parti del mondo. Sono colpiti soprattutto i paesi più poveri, e che producono meno inquinamento, del Sud-Est asiatico, dell’America Latina e dell’Africa subsahariana dove vivono circa 3,5 miliardi di persone, metà della popolazione mondiale. La scarsità di acqua per tutto ciò che è vivente, la diminuzione delle derrate alimentari per uomini e animali e l’inabitabilità di zone sempre più grandi accelereranno i flussi migratori in misura esponenziale.

Questa consapevolezza allargata, e non solo limitata ai danni che sta provocando la guerra tra Russia e Ucraina, non solo all’umanità ma anche all’ambiente e alla casa comune che siamo chiamati a proteggere, ci invita a una conversione di disarmo totale: delle menti, dei cuori e dei comportamenti, che porti ad una condivisione fatta di informazione, di sobrietà di vita e di esercizio di vicinanza a chi è più povero, solo e abbandonato.
Siamo chiamati ad investire energie fisiche, affettive, finanziarie che vadano nel senso di una cultura della pace, della solidarietà, dell’amicizia sociale, del benessere per tutti e della salvaguardia del pianeta. Se questi orientamenti sapranno dirigere le nostre scelte quotidiane, rifiutando tutto ciò che è loro contrario, allora faremo parte di quell’umanità che vive per il suo futuro, facendo crescere quella civiltà che S. Paolo VI definiva “dell’amore”.



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