Grazie Eugenio, operatore di pace
Pubblichiamo parte dell’omelia di p. Ferrari, pronunciata alla Messa funebre di p. Eugenio Melandri, il 29 ottobre.
“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Questa beatitudine proclamata da Gesù risuona per Eugenio Melandri, in occasione del suo passaggio da questa terra alla casa del Padre. Celebriamo l’Eucaristia per rivivere anche noi con lui, nella preghiera e nell’affetto fraterno, il mistero di questa morte. Essa ci fa soffrire, ma insieme ci fa rendere grazie al Signore per questo momento di grazia che ci permette di vivere. Grazie anche a te, Eugenio.
Ogni volta che la morte bussa alla nostra porta, sentiamo lo sgomento che essa provoca, perché ci ricorda la nostra povertà radicale, ma insieme risveglia quella speranza cristiana che ci assicura che siamo davvero figli di Dio. Lui ci accompagna e ci accoglie nella sua misericordia. Questa fede, dura e costosa, consola i nostri cuori e asciuga le lacrime che versiamo per la perdita di un nostro caro.
“Beati gli operatori di pace!”. Questa è la frase con cui Gesù accoglie Eugenio e gli dice “sei fortunato e felice, Eugenio”, perché hai lavorato, sofferto e pagato anche di persona per questo impegno cristiano che è parte della missione della chiesa e che tu hai assunto e portato avanti quando a vent’anni ti sei consacrato al Signore per essere suo missionario. Fortunato, felice, Eugenio! Da allora fino a oggi “non hai mai smesso di sentirti e di vivere come saveriano”, come tu stesso hai detto in una recente intervista (19 settembre a Filippo Vendemmiati).
Noi, insieme a Gesù, siamo felici con te e per te, anche se il cuore fa fatica a sintonizzarsi su questa gioia. Sappiamo però che tu vai a incontrare i tuoi cari genitori e quegli amici e confratelli che ti hanno amato e stimato sempre. Vai soprattutto a contemplare finalmente il volto gioioso e festoso del Signore che hai fedelmente servito. Eri appassionato del regno di Dio e per esso hai lavorato, parlato, scritto e sofferto nelle nostre fila saveriane. Tu conosci quanto ti è costato uscirne, come sei stato spesso mal interpretato e sai anche quanto abbiamo sofferto noi, tuoi fratelli. Hai sempre tenuto a dire che nessuno ti ha espulso, ma che tu stesso hai capito di dover lasciare, per servire meglio la causa del regno di Dio. Posso testimoniare che non te ne sei andato per i tuoi comodi, né per protesta. Ricordo le lunghe discussioni con me e come, a un certo punto, dopo una decina di anni avevi anche pensato di rientrare. Per coerenza, sei rimasto fermo nella tua scelta.
Era la scelta di servire i poveri e gli esclusi, di combattere per la pace e la giustizia, per un mondo disarmato, per la vera liberazione dei poveri e la salvaguardia del creato. Una scelta sofferta, lo posso dire io che l’ho seguita fin dal suo nascere. E quella scelta non ti ha allontanato dalla vocazione saveriana, tanto è vero che Dio ti ha ricondotto, attraverso la dura e ripida strada della malattia e della croce, a rientrare anche pubblicamente nelle fila dei Saveriani e recentemente del presbiterato.