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A tu per tu con don Luigi Ciotti

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Don Luigi Ciotti è un volto noto a tanti. Appare anche in televisione, per parlare di problemi spesso poco considerati. Ciò che racconta l'ha vissuto e lo vive ogni giorno. Don Luigi è un prete semplice e profondo, uno che tocca l'anima.

Gli ho chiesto una breve intervista dopo la sua relazione al convegno di Cem Mondialità, che si è tenuto a San Marino a fine agosto. È una testimonianza adatta all'ottobre missionario.

Com'è nata la vocazione per i giovani di strada?

2010 9 CiottiNella mia vocazione mi sento molto piccolo. Quando sono diventato sacerdote c'era già il "Gruppo Abele" e un'attività concreta sulla strada. C'era già un impegno per rimuovere le cause di molte forme di marginalità presenti nella nostra società. Ringrazio Dio e le numerose persone che nella vita mi hanno aiutato a riflettere, a interrogarmi, a stupirmi e a fare delle scelte. Ringrazio padre Michele Pellegrino, che mi ha accolto.

Allora tutto è iniziato...

A 17 anni. Poi, padre Pellegrino eredita il "Gruppo Abele", lo fa un po' suo e mi sostiene. Mi ordina sacerdote in una chiesa zeppa di ragazzi di strada, di minorenni del carcere "Ferrante Aporti" di Torino, di ragazze del Buon Pastore con storie di violenza.

Durante la celebrazione c'era silenzio e rispetto, nonostante molti dei presenti fossero estranei al mondo della chiesa. Ma avevano voluto esserci per il loro amico che diventava sacerdote. Mons. Michele Pellegrino - che si faceva chiamare "padre" pur essendo vescovo - disse: "So a cosa state pensando: «adesso prendono Luigi e lo mandano in una parrocchia». No! Luigi è nato con voi, ha costruito questi percorsi con voi; allora io lo lascio a voi, ma affido anche a lui una parrocchia: la sua parrocchia sarà la strada".

Un impegno non da poco!

Nell'arco di questi anni ho cercato di viverlo con gioia e a volte anche con fatica, perché non è semplice essere fedeli a Dio e alle persone. È un cammino su un crinale difficile. Stare lì, a lasciarti "mangiare" dai poveri, dagli ultimi. Questo per me significa servire profondamente la chiesa, saldare la terra con il cielo. La strada per me è sempre stata la grande protagonista, perché è la protagonista del vangelo.

È stato "amore a prima vista"?

Tutto forse parte proprio dalla mia famiglia, immigrata dal Veneto a Torino. Avevo cinque anni. Mio padre aveva trovato lavoro, ma non c'era la casa. Per tanti anni abbiamo vissuto nella baracca del cantiere, che era nella "zona bene" di Torino.

In prima elementare sono andato nella scuola del quartiere, dove il regolamento chiedeva a tutti di avere un bel grembiule e un fiocco interminabile. Mia madre andò con molta umiltà dalla maestra a dirle che i soldi per grembiule e fiocco li aveva spesi già per mia sorella più grande. La maestra sembrò accettare la cosa. Ma lei, che era abituata ad avere tutto in regola con tutti quei fiocchi in fila, dopo venti giorni di scuola arrivò tesa e nervosa.

Come mai, cos'era successo?

In fondo alla classe i miei compagni disturbavano, ma la maestra se la prese con me, che ero l'unico senza grembiule e senza fiocco. A un certo punto ho fatto un gesto, come per dire: "Perché te la prendi con me che non c'entro nulla?". E lei si mise a gridarmi contro: "Ma cosa vuoi tu, montanaro!". Non ci ho più visto. Mi sono sentito offeso. Ho difeso me e la mia famiglia, ho preso il calamaio e l'ho tirato. L'ho colpita in pieno! Dopo venti giorni di scuola, in prima elementare, sono stato espulso!

E tutto per un fiocco!

Il fatto grave è avvenuto quando i miei compagni, usciti da scuola, hanno raccontato alle mamme l'accaduto. E loro: "Ah, povera maestra! Oh, povero vestito!". Poi dicevano ai figli: "Guai se ti vedo insieme a Ciotti!". Mi sono sentito etichettato e messo da parte, come un compagno cattivo. Quello che ho provato in quel momento - e che mi trascino ancora dentro - è una ferita che non si cancella.



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