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Sapienza: Missione, Pedagogia dell'onnipotenza misericordiosa

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La terza parte del libro della Sapienza (cc. 10-19) offre una meditazione sulle vicende collegate all’uscita degli ebrei dall’Egitto, interrotta da due lunghe digressioni (11,15-12,27; 13-15) che intendono rispondere a due domande: perché Dio non punisce in modo immediato e definitivo egiziani e cananei, preferendo invece inviare dapprima piaghe non mortali? Inoltre, perché le piaghe colpiscono ripetutamente gli egiziani fino alla tragica fine nel Mar Rosso? Alla prima domanda risponde la prima digressione (11,15-12,27), sulla quale fermeremo la nostra attenzione.

LA PEDAGOGIA DIVINA

In Sap 11,15-16 si introduce il tema del culto agli animali, a motivo del quale gli egiziani furono puniti con animali (il riferimento è alle piaghe di cui si narra in Es 7,26-29; 8; 10,12-19). Prestando culto agli animali, gli egiziani si dimostrano insensati (11,15), dato che la loro condotta stravolge radicalmente l’ideale del divino. L’intervento punitivo divino è illustrato con la legge del v. 16 (“perché capissero che con le cose con cui uno pecca, con quelle viene punito”), che ha una formulazione analoga a quella del taglione, sebbene quest’ultima sottolinei che il castigo dev’essere proporzionato alla colpa commessa, mentre qui ci si concentra sullo strumento di cui il colpevole si è servito e che sarà lo stesso con cui sarà castigato. Perciò il castigo non è solo un atto di giustizia vendicativa, ma uno strumento pedagogico (perché capissero) che Dio mette in atto in vista della salvezza, persino dei malvagi. La moderazione divina nel punire non è manifestazione d’impotenza, infatti:

Non era certo in difficoltà la tua mano onnipotente, che aveva creato il mondo da una materia senza forma, a mandare loro una moltitudine di orsi o leoni feroci (Sap 11,17).

NELLA CREAZIONE E NELLA STORIA

Servendosi del lessico filosofico ellenistico, l’autore rilegge l’atto creatore divino narrato in Gn 1,1- 2 come fatto a partire da “materia senza forma”(Sap 11,17): appunto il potere che Dio ha su questa materia gli ha permesso di creare tutti gli esseri dell’universo, di operare i miracoli dell’esodo e gli permetterebbe, volendolo, di creare nuovi e terribili animali in vista di una punizione. Considerando infine il creato nella sua totalità (11,20: “tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso”), l’autore invita a scoprirvi una meravigliosa sapienza che si esprime: nella misura, cioè nelle proporzioni armoniose ed equilibrate degli esseri; nel numero, cioè nel loro profondo valore simbolico (un tema caro alla filosofia pitagorica); nel peso, valore essenziale nella genesi meccanica delle cose (tema legato alla concezione epicurea). Nella natura imperano l’ordine e l’equilibrio e Dio dirige la storia umana senza alterarli: si serve della natura stessa per i suoi piani di salvezza.

ONNIPOTENZA MISERICORDIOSA UNIVERSALE

Il centro dell’esposizione si focalizza sulla misericordia di Dio: “hai compassione di tutti, perché tutto puoi”(11,23). L’Antico Testamento conosce la compassione (misericordia) di Dio, ma raramente la presenta come conseguenza della sua onnipotenza. Questa misericordia ha qui per oggetto non solo il popolo eletto, ma ogni essere umano e il suo scopo è la conversione dei cuori. La nota che maggiormente risalta in questa sezione è l’universalismo, un orizzonte non assente nella tradizione ebraica, ma che all’epoca in cui visse il nostro autore non era molto vivo, specialmente in Palestina, dove a partire dal II sec. a.C. avevano preso piede tendenze nazionalistiche ed esclusivistiche. Nella diaspora, il confronto con idee filosofiche universaliste portò invece alcuni pensatori ebrei, tra cui il nostro, a ricavare singolari prospettive dalla lettura di alcuni passi profetici (in particolare Giona e Isaia). Incontriamo qui l’unico passo dell’Antico Testamento in cui l’amore universale di Dio è espresso con il verbo agapân (amare), che sarà invece determinante nel Nuovo Testamento: “Tu infatti ami (agapas) infatti tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata” (11,24).

SOLO PER AMORE

L’onnipotenza divina si manifesta in una creazione motivata unicamente dall’amore, sia nella sua genesi sia nella sua permanenza attraverso la storia (11,25). Nessuna frontiera, né antropologica, né cosmica, limita l’amore divino. Dio si rivela perciò “amante della vita” (11,26), colui che si prende cura di tutto ciò che ha posto in essere; di tale dedizione divina alle sue creature è offerta in 12,1 la ragione fondamentale: “poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose”, tema già proposto precedentemente, insistendo sulla presenza vivificante di Dio in ogni cosa, per mezzo del suo spirito (cfr. Sap 1,7; 7,24; 8,1).

Si riprende verosimilmente l’immagine di Gn 2,7, dove Dio soffia nell’essere umano un alito di vita, estendendola però a ogni creatura, come già faceva il salmista (cf. Sal 104,29-30). “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore” (Sap 12,2): si ritorna al motivo iniziale delle affermazioni di questa sezione. Il Signore ha castigato gli adoratori di animali tramite altri animali per mettere in atto la sua pedagogia che intende far riflettere i colpevoli e guidarli, tramite la conversione, alla fede. A chi volesse, però, obiettare contro la moderazione divina adducendo il fatto dello sterminio degli antichi abitanti di Canaan, l’autore risponde che Dio anche nei loro confronti ha agito con moderazione. Si enumerano i crimini commessi dalle popolazioni del Canaan prima dell’arrivo degli ebrei (12,4-6): esse sono accusate soprattutto di orribili crimini rituali, che hanno provocato l’odio (v. 4) divino nei loro confronti; questo odio è chiaramente un’espressione antropomorfica per manifestare che Dio non può mai giungere a patti con il peccato o la malvagità, realtà che esigono di essere estirpate. Anche in questa vicenda, tuttavia, Dio mette in campo la sua pedagogia: “ma hai avuto indulgenza anche di costoro, perché sono uomini” (12,8).

Nessun delitto, per quanto grave, può cancellare la realtà della dignità umana; quest’argomento molto moderno, che l’autore prende a prestito dalla filosofia stoica, fonda il comportamento indulgente di Dio.

EPIFANIA DELL’UMANITÀ DI DIO

Il vertice della riflessione è infine raggiunto mettendo in parallelo l’agire divino e quello umano in 12,18-19:

Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento.

Celebrando la moderazione divina, l’autore si serve di un vocabolo (epieikeia, clemenza), applicato ai sovrani ellenistici e poi romani, che indica l’opposto del potere arbitrario e tirannico; applicato a Dio, mostra come la clemenza dei suoi giudizi storici non sia segno d’impotenza, bensì di amore misericordioso e indulgente. Da questa qualità divina, l’autore fa discendere la condotta del giusto, che egli qualifica con l’aggettivo philanthropos (“umano”), assai rilevante nella cultura ellenistica, ma che qui è da comprendere alla luce della storia salvifica a cui si riallaccia. La clemenza con la quale Dio ha trattato i nemici del suo popolo è una lezione di umanità, in cui risaltano la benevolenza e la misericordia; Dio ha messo in pratica questa virtù regale (cfr. Tt 3,4): è questa la lezione che deve apprendere chiunque a tale Dio si appella. I racconti biblici delle punizioni divine non sono dunque da leggere solo come resoconti del passato, quasi descrizioni epiche per alimentare un tronfio spirito nazionale, bensì quale monito per il credente ebreo che anche la sua vita è sottoposta al giudizio divino, nel quale, però, sa di poter confidare sulla misericordia del Signore, amico della vita:

Mentre dunque correggi noi, tu colpisci i nostri nemici in tanti modi, perché nel giudicare riflettiamo sulla tua bontà e ci aspettiamo misericordia, quando siamo giudicati (Sap 12,22).



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