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PACE IN TERRA E BANDO ALLE BOMBE A GRAPPOLO

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Il 2006 ha visto ancora la guerra protagonista, ma è apparsa sempre più chiara la sua incapacità di risolvere i conflitti. La strada è a un bivio: o la militarizzazione globale (spazio compreso) o la ricerca di strumenti diversi. Lo studio della Johns Hopkins University e dell’Università irachena Al-Mustansiriyah, pubblicato dall’autorevole rivista medica Lancet, ha indicato tra 420mila e 790mila le vittime locali della guerra e il presidente Bush è stato costretto ad ammettere che il paragone tra Baghdad e Saigon è plausibile.
 
Intanto è ormai evidente la “iraquizzazione” dell’Afghanistan, che pure doveva – e sembrava – essere teatro di una “missione di pace” per eccellenza, destinata a garantire la rinascita democratica e la ricostruzione del Paese. E, invece, come ha da tempo coraggiosamente riconosciuto il generale Fabio Mini, già comandante delle truppe italiane in Kossovo, “la guerra non è mai finita” e, anzi, quest’anno è divenuta sempre più aspra, con offensive massicce dei talebani e bombardamenti indiscriminati delle Forze Nato. In entrambi i casi si rivela fallimentare la strategia di “pacificare con la guerra”. Il test missilistico della Corea del Nord ha, intanto, sancito l’allargamento di fatto del club delle potenze nucleari e assestato un duro colpo al Trattato di non proliferazione, ma soprattutto ridato legittimità dei programmi di riarmo già avviati da Russia e soprattutto Stati Uniti. Come ha amaramente osservato l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, “È un periodo di stagnazione del disarmo”.
Di fronte a questo inquietante scenario si aprono due strade.
La prima è quella di imporre un salto di qualità alla “guerra permanente” contro il terrorismo e gli “Stati canaglia”: ne è un esempio la decisione di Washington di attribuirsi il diritto di agli avversari l’uso di capacità spaziali ostili agli interessi nazionali statunitensi”, e quindi di usare “sistemi di energia nucleare spaziale” per tutelare “la sicurezza della patria e gli interessi di politica estera”.
 
L’altra è quella, opposta, di rilanciare strumenti non bellici di soluzione dei conflitti: strumenti diplomatici, di interposizione nonviolenta, di rimessa in discussione di relazioni politiche ed economiche che ne sono alla base. In questa direzione va, ad esempio, l’approvazione a schiacciante maggioranza all’Onu (contrari: Stati Uniti; astenuti: Russia, Cina e India) del progetto per la stesura di un Trattato sul controllo del commercio internazionale delle armi convenzionali. Ma forse è ancora in Medio Oriente che si giocherà nel 2007 la partita decisiva, in particolare sul ruolo dell’intervento multilaterale in Libano.
Tale intervento si avviterà in una spirale armata destinata a produrre l’ennesimo sanguinoso pantano o saprà valorizzare l’iniziativa civile, mantenendo il consenso delle parti e aprendo la via a una soluzione equa per la regione?
Precondizione sarà la bonifica del territorio del Libano meridionale dalle bombe a grappolo sganciate dagli israeliani su oltre 750 siti (compresi villaggi, campi e giardini), per il 90% nelle ultime 72 ore del conflitto, col cessate-il-fuoco imminente. Almeno un milione, secondo l’Onu, sarebbero rimaste inesplose, con effetti, di fatto, simili alle mine.
A proposito: perchè non iniziare l’anno nuovo sostenendo la campagna per la messa al bando delle cluster bomb?


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