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MITE È LA FORZA / CELESTINA BOTTEGO FONDATRICE DELLE MISSIONARIE DI MARIA-SAVERIANE

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Con la sua scrittura leggera, profonda e trasparente, Rita Torti ci mette in mano un libro avvincente, oltre che onesto e ben documentato. L’autrice non ha calcato la mano sulle divergenze, inevitabili e delicate, tra i fondatori delle Missionarie di Maria – madre Bottego e padre Spagnolo – e, meno ancora, sulle dimissioni della madre e sull’esclusione dei fondatori dalla direzione dell’istituto. Non era facile, per una persona che non ha vissuto da vicino quegli eventi, trattare i temi spinosi dei capitoli generali “speciali” – del 1966 e del 1971 –, senza nascondere la verità e senza sorvolare su di essa. Quella stagione è stata la “pasqua” di morte e risurrezione dei due fondatori, momento di grande sofferenza e liberazione per l’istituto.

Ho letteralmente divorato i capp. 2-8, vedendo crescere sotto i miei occhi il volto umano e spirituale della madre che poi ho trovato splendidamente sintetizzato a p. 231, dove la Torti ha offerto un ritratto completo della donna, fondatrice e madre. Ho particolarmente apprezzato le pagine dedicate alla figura della madre: la sua formazione prima di iniziare la fondazione, la sua grande umanità e profonda vita interiore, la sua versatilità (andare a studiare lingue per sé non necessarie, come il francese e il tedesco) e apertura intellettuale e umana, il suo carattere amabile e forte (Mite è la forza), la sua delicatezza e cura amorevole con le persone, ricche o povere che fossero. 

Madre Celestina, nella sua semplice umiltà, non si è mai attribuita il merito della fondazione, che riconosceva al padre Giacomo, ma si è comportata come chi si vede progressivamente portato a una scelta sofferta, inizialmente schivata, ma chiaramente preparata da Dio attraverso l’opera di un missionario anomalo, perché mai stato in missione. Di lui rispettava l’autorità di fondatore senza aver paura di riconoscere le sue proprie responsabilità nella fondazione e direzione del nuovo istituto ogni volta che venivano messe in discussione. Non posso vantare una conoscenza personale della madre, come del padre, ma questa biografia mi ha confermato in certe intuizioni avute nei pochi incontri con lei negli anni ‘70. La mia familiarità con il confratello degli Stati Uniti, Robert Maloney, che della madre aveva una stima immensa, forse mi ha predisposto positivamente a riconoscere, al di là dell’intuizione, la ricchezza di questa donna che vedevo per la prima volta, ormai anziana. Questa biografia l’ha come illuminata di luce nuova, confermandomi nella stima e venerazione nate immediatamente in me in quei brevi incontri. 

Mi è piaciuto il cap. 14 (Partenze), dove appare la capacità di apertura mentale prima ancora che missionaria di Celestina, apertura che non sempre trovo nei missionari di professione. Senza farne dei trattati, la madre dà indicazioni essenziali in vista della futura missione: una buona formazione personale, previa ad ogni formazione strettamente “missionaria”, e l’invito a conoscere e entrare nella nuova cultura in missione accompagnate da un atteggiamento – un apriori – di empatia e dialogo che alla madre veniva forse dalla sua storia, un atteggiamento fondamentale nella missione di sempre, ma oggi imprescindibile nella prassi della missione ad gentes.

Mi ha sorpreso la maniera sobria ed essenziale con cui la Torti – che non è una missionaria – affronta i temi della missione. Non lo fa con gli stereotipi della narrazione missionaria, fatta di eroismi e cose straordinarie. Si limita a entrare nei veri problemi della missione e della sua spiritualità, che non sono le difficoltà esterne, ma quelle della vita interiore dei missionari. Sicuramente l’esperienza della madre, che ha vissuto in due diverse culture, l’ha aiutata a entrare positivamente nella spiritualità missionaria dell’incontro e della partecipazione alla kenosis di Cristo e del suo corpo ecclesiale. 

In controluce appare anche la figura di mons. Conforti, il santo vescovo che guidava la Chiesa parmense nei primi decenni del secolo scorso e nella giovinezza di Celestina, il quale sperava e attendeva la fondazione di un ramo femminile della sua famiglia missionaria senza poterla vedere realizzata. Insomma, una presentazione ben fatta, sobria ed equilibrata, di una persona umile e libera, in ascolto della volontà di Dio, che è stata lo strumento di Dio per dare alla Chiesa una nuova famiglia missionaria femminile. In breve: qualora, per qualsiasi ragione, Celestina non riuscisse ad essere beatificata e canonizzata, le Saveriane possono ugualmente andare molto fiere di avere avuto una tale madre.



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