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LA CHIESA DI CREMA NEL POZZO DEL NIGER CON P. PIERLUIGI MACCALLI

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Mentre scrivo queste righe, è ancora in mano ai suoi rapitori, che l’hanno sequestrato il 17 settembre scorso nella sua missione di Bomoanga, in diocesi di Niamey (Niger), p. Pierluigi Maccalli, missionario originario della diocesi di Crema, della Società delle Missioni Africane (SMA). La speranza mia, e naturalmente quella dei suoi famigliari – tra i quali un altro missionario, suo fratello, p. Walter, da alcuni mesi operante in Liberia –, della SMA, della Chiesa di Crema e di tantissima gente, è che nel momento in cui questo numero di Missione Oggi arriva in mano ai lettori p. Pierluigi sia ormai libero e abbia ripreso con serenità il suo servizio pastorale e missionario: ma, purtroppo, non è possibile fare nessuna previsione certa.

Non ho le competenze per addentrarmi nel complesso quadro politico e socio-religioso del Niger che, come si sa, è diventato un paese chiave delle rotte migratorie che dall’Africa occidentale puntano, soprattutto attraverso la Libia, verso il Mediterraneo. È il quadro che probabilmente fa da sfondo al rapimento di p. Pierluigi: lui stesso, che era stato in Italia durante l’estate, ed era venuto a salutarmi agli inizi di settembre, qualche giorno prima della partenza, me ne aveva un po’ parlato, senza mostrare peraltro nessuna preoccupazione particolare per sé o per la sua missione.

Di questo quadro, tuttavia, non sono in grado di dire molto. Vorrei proporre, invece, alcune considerazioni sul significato per così dire simbolico (che, è chiaro, in questo contesto in nessun modo è da intendersi come “irreale”) di ciò che p. Maccalli sta vivendo – del resto, senza essere l’unico in queste condizioni: oltre alla vicenda assai conosciuta del gesuita Paolo Dall’Oglio, di cui non si hanno più notizie dal 29 luglio 2013, si può menzionare – anche per la vicinanza geografica al Niger – quella meno nota della religiosa colombiana Gloria Cecilia Narváez Argoti, rapita in Mali nel febbraio 2017, e che risulta ancora in mano dei suoi rapitori.

Significato simbolico, dicevo. Di che cosa? Provo a dirlo ricorrendo a un giornalista, Domenico Quirico, che ha vissuto anche lui l’esperienza di essere rapito (in Siria, nel 2013), e che, per parlare del suo mestiere come l’intende lui, usa l’immagine del tuffarsi nel pozzo: “C’è davanti a me una realtà drammatica terribile intricata ambigua che io non conosco; soprattutto ci sono uomini che vivono e muoiono… È la superficie dell’acqua in un pozzo che riflette la luce e il tuo volto, ti attira e ti respinge nello stesso tempo perché non sai cosa c’è sotto... Allora l’unica cosa che puoi fare per impregnarti della materia che ti hanno affidato… è di tuffarti: sì, tuffarti senza chiudere gli occhi, spingendo con frenesia le gambe e le reni per scendere giù, in fondo, fino in fondo...” (D. Quirico, Il tuffo nel pozzo. È ancora possibile fare del buon giornalismo?, Vita e Pensiero, Milano 2017, 53-54).

Mi sembrano parole molto adatte a dire anche il cammino del missionario: il quale sa che da quel primo gesto, da quella prima scelta (o piuttosto chiamata) di tuffarsi, non si torna indietro, nel senso che tutto è già messo in conto, nel momento in cui si decide di non rimanere solo a guardare, ma ci si tuffa giù, dentro a quell’umanità che Dio ti mette davanti, chiedendoti di non dimenticare il tuffo nel pozzo che per primo ha fatto il suo Figlio, entrando nella nostra “carne”. Anche il Figlio di Dio, scendendo in questo pozzo, aveva già messo tutto in conto, inclusa la possibilità che quella stessa umanità, in favore della quale era sceso, mettesse le mani su di lui.

In questi mesi, mentre quotidianamente anche dalla nostra Chiesa di Crema, e in particolare dalla sua parrocchia di Madignano, si prega per p. Pierluigi, ho cercato di immedesimarmi un poco in lui, in ciò che sta vivendo. Forse le sue mani e i suoi piedi non sono materialmente legati ma, certo, è prigioniero; quel che poteva fare per la sua gente gli è impedito. Oso pensare, tuttavia, che questa condizione di impotenza manifesti con la maggior evidenza possibile il senso vero di quei gesti che per ora non può compiere, ma che speriamo possa presto ricominciare in piena libertà: è andato fino in fondo al pozzo, in piena comunione con il suo Signore: ed è di lì che parte ogni cammino di risurrezione e di vita.



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