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Giona, Prefigurazione della missione "Ad Gentes"

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Chi legge il libro di Giona si confronta con episodi assai sorprendenti, come l’iniziale rifiuto del profeta a corrispondere all’ordine divino, oppure la sua esperienza nel ventre di un grande pesce. Certamente, però, nulla è più scioccante della discussione con la quale si chiude questo libretto: un profeta adirato perché Dio perdona i malvagi che si pentono. Non è facile rendere ragione di tutte le problematiche che lo scritto affronta, ma è importante non perdere di vista due aspetti: da un lato, non si tratta di una vicenda realmente accaduta, ma di un racconto ben costruito; dall’altro, è importante definire quale rapporto tale racconto intende istituire con gli altri scritti profetici.

INDIGNATO CON DIO

Negli altri scritti profetici, emerge con chiarezza che tutte le città contro le quali i profeti hanno pronunciato oracoli di condanna sono state distrutte: basti pensare a Babilonia, oppure alle città egiziane, a Gerusalemme; lo stesso vale per Ninive, la grande città alla quale Giona è inviato. Nel libro di Giona, tuttavia, Ninive sopravvive e ciò suscita nel profeta un grande sconcerto: egli pensa forse che in tal modo la parola che Dio gli ha ingiunto di comunicare sia stata smentita?

Osservando il racconto, si può notare come esso sia ben bilanciato: due ordini divini introducono due sequenze narrative (1,1-2; 3,1-2), due risposte del profeta (una negativa: 1,3; l’altra positiva: 3,3), due reazioni dei pagani (i marinai in piena tempesta: 1,5-15; gli abitanti di Ninive e il loro re: 3,5- 9), due conclusioni in cui il profeta se la vede con Dio: vomitato sulla spiaggia dal pesce nella prima, solo a ripararsi dal sole nella seconda.

Dio disse a Giona: “Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?”. Egli rispose: “Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!”. Ma il Signore gli rispose: “Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?” (Gio 4,9-11).

La parola del Signore giunge a Giona (1,1-2): deve recarsi a Ninive, città capitale di uno dei grandi imperi dell’antichità; rimasta famosa anche per la sua retorica imperialistica e la sua prassi violenta e oppressiva. Quando la parola di Dio raggiunge un profeta normalmente si assiste a un dialogo tra Dio e il chiamato (cfr. Is 6 oppure Ger 1); Giona non dialoga: volta le spalle e va in direzione opposta rispetto all’ordine divino. Egli non ribatte nulla a Dio.

La parola di Dio interpella, ma l’accoglienza è un evento di libertà e responsabilità; con fare flemmatico, Giona ignora tale parola.

Un analogo atteggiamento egli manifesta allorché Dio scatena una terribile tempesta (1,4-6). Quando viene una disgrazia gli ebrei alzano grida al loro Dio e in molti casi i profeti, come fece Mosè, sono chiamati a intercedere; Giona né grida né intercede: dorme. La sciagura è normalmente provocata dalla condotta del popolo e il profeta sta tra gente peccatrice: nel caso di Giona, è il profeta stesso la causa della sciagura; egli si proclama ebreo, ma nessuna invocazione innalza verso il suo Dio; solo nel ventre del pesce (2,3-10) lo sentiamo invocare: quasi una caricatura, dato che riprende espressioni che nei Salmi sono figurate, ma nel suo caso sono estremamente realiste.

INVIATO DI UN DIO MISERICORDIOSO

Allorché giunge a Ninive il contrasto è ancora più netto: in genere i re rigettano le parole dei profeti (cfr. Ger 36); Giona non fa una lunga arringa, né si presenta al re. Bastano poche parole del profeta, riferite prontamente al re, e questi indice un digiuno, costringendo persino gli animali a portare il sacco quale segno di pentimento (cfr. 3,7). Giona sarebbe in tal caso l’unico profeta ad avere successo. E qui entra in gioco il valore della parola divina e soprattutto qual era lo scopo delle tante minacce proferite dai messaggeri di Dio. A ben guardare, i profeti intendevano allontanare la sciagura, ammonendo riguardo ad essa; eppure soltanto l’ammonizione di Giona fu ascoltata. Perché tuttavia il profeta se la prende?

Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!” (Gio 4,1-3).

Si potrebbe pensare che Giona si sdegni perché una città come Ninive, che ha seminato terrore e morte in tutto il Vicino Oriente, non merita di essere perdonata. E sarebbe una conclusione plausibile: come altrimenti giustificare le espressioni orgogliose di Naum (c. 3) a motivo della caduta della città sanguinaria? Anche ai nostri giorni non manca chi invoca rovina e distruzione – oltre che vendetta – per chi provoca oppressione e morte. Eppure il dialogo non tocca la qualità della città, bensì il carattere di Dio. In ogni caso, mentre profeti, salmisti e santi invocano Dio di “togliere loro la vita”, perché questa si è rivelata un fallimento (Giona cita 1 Re 19,4, passo in cui Elia manifesta il suo sconforto a Dio per non essere riuscito a estirpare dal suo popolo l’idolatria), Giona chiede questo a Dio dopo un’apparente vittoria. Come mostrano le sue parole, Giona conosceva bene il suo Dio (misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore), ora però scopriamo che il carattere di questo Dio non gli andava bene: non lasciava tranquilla la sua coscienza, perciò ha deciso di allontanarsi dalla sua presenza.

Anche a Giona, però, Dio dimostra tutta la sua attenzione; il libro non si chiude con la censura del profeta, ma con Dio che cerca di convincerlo.

Ed è questa azione di Dio che deve guidare la nostra riflessione.

PORTAVOCE DEL DIO DELLA VITA

Se il mondo è percepito come sbagliato, possono insorgere molte reazioni. C’è quella di chi pensa a ritagliarsi uno spazio pulito, ordinato, corrispondente al volere di Dio, anticipando il mondo futuro; e se il mondo va alla deriva, allora basta mantenersi fedeli, di modo che Dio avrà misericordia di noi, quando porrà fine a questo mondo.

La tentazione è dunque quella di abbandonare il mondo a se stesso.

Ma la proposta biblica è che è possibile operare qui per un mondo diverso: il male denunciato dai profeti – e da ogni credente che ne accoglie il messaggio – è lo svelamento del disordine che gli umani creano nel mondo, ma non allo scopo di schiacciarli, bensì di mostrare loro che esiste una via d’uscita, cioè il ritorno al Signore della storia. Molti dicono che Dio oggi non si fa sentire e cercano risposte talvolta strane; Dio, però, non ha mai parlato, ha sempre fatto parlare a nome suo (“pongo le mie parole sulla tua bocca”, Ger 1,9). E il portavoce di Dio è presentato molte volte come la sentinella (cfr. Ez 3,16-19), invitata a dare l’allarme. Viene il male, ma Dio non è un leone in cerca di preda; perciò la sentinella avvista il male, lo smaschera e avverte il suo popolo.

La denuncia non ha dunque funzione di condanna, ma di svelamento. Così c’è un futuro per il peccatore, perché Dio ha pietà anche di Ninive,

quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? (4,11).



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