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DA HIROSHIMA A FUKUSHIMA / IL GIAPPONE E L’INCUBO NUCLEARE

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L’intreccio, il rapporto stretto, tra nucleare “civile” e “militare” viene esaminato a quattro mani in questo volume prezioso, ricco e ben documentato, attraverso un’analisi e una riflessione sul paese che più di ogni altro al mondo ha subìto e sperimentato, sulla vita della propria gente e dell’ecosistema nel quale è immerso, le conseguenze di entrambi gli sviluppi della scissione dell’atomo. 

Il libro di Susanna Marino e Stefano Vecchia, attenti studiosi e osservatori del Giappone e in generale del continente asiatico, srotola il suo racconto in 75 anni di storia avendo come riferimento le due maggiori tragedie del paese, i bombardamenti atomici americani di Hiroshima e Nagasaki e il disastro della centrale nucleare di Fukushima avvenuto a seguito dello tsunami che colpì il paese nel 2011, esattamente 10 anni fa. 

Marino parte dalle due città distrutte nell’agosto del 1945 ricostruendo capillarmente tutte le vicende che portarono all’orrore di quella scelta e alle sue conseguenze. Il suo lavoro indaga il piano storico-politico, quello della scienza, dell’informazione, delle rimozioni, censure, scomode verità con cui hanno dovuto fare i conti in tutti questi anni principalmente giapponesi da un lato e statunitensi dall’altro, mettendo sempre al centro di ogni filone d’indagine, gli hibakusha, i sopravvissuti. Una parte centrale e importante del suo saggio è dedicata alla letteratura, alla poesia, alle testimonianze di chi ha vissuto l’orrore e i suoi devastanti e malefici effetti, una storia e delle conseguenze ancora oggi pesanti e drammatiche per quella che l’autrice definisce “la disumanizzazione provocata dall’esperienza vissuta [che] portò molti a parlare di una sorta di annientamento, in cui svanisce ogni certezza di essere ancora qualcuno”. 

Vecchia invece analizza ogni dettaglio del disastro nucleare di Fukushima, l’unico assieme a Chernobyl ad essere classificato nel livello 7, il più alto possibile. Una massa d’acqua che si è lanciata su circa 200 km di costa, con onde alte mediamente 10 metri, spintasi in certi casi fino a 10 km nell’entroterra della regione, ricoprendo complessivamente circa 600 km quadrati di terraferma. Una catastrofe il cui danno economico è stato stimato dalla Banca Mondiale in 235 miliardi di dollari che tuttavia, per molte altre fonti, supererà abbondantemente i 300 miliardi. Furono 164mila gli abitanti evacuati dall’area contaminata, che attualmente vivono altrove con grandi difficoltà soprattutto per i più poveri. “Fukushima è un caso di diritti umani negati” – afferma Vecchia – “e la ricostruzione rischia di essere un recupero di infrastrutture e spazi urbani, ma non di coesione e identità di comunità devastate e disperse. Livelli di radiazioni sono stati riscontrati in ortaggi, frutta, latticini, carne e pesce fino a 350 km dalla centrale ma lo stesso Ministero delle Scienze giapponese calcolava nel novembre 2011 in 30mila i chilometri quadrati di territorio contaminati dal cesio rilasciato”. 

Anche in questo caso ambiguità, contraddizioni, rimozioni e mezze verità hanno accompagnato il dibattito pubblico sorto dopo l’incidente. Vecchia chiude il suo saggio ritornando sullo stretto rapporto tra nucleare civile e militare, essendo certo che la tecnologia giapponese sviluppata per la produzione energetica tratta dall’atomo potrebbe essere riconvertita rapidamente ad un uso militare. 

Il libro ci parla del Giappone ma, con tutta evidenza, nessuno al mondo può evitare di affrontare questo intreccio quando si discutano scelte legate alla ricerca nucleare e alle politiche di difesa nazionale e internazionale. La salvaguardia del pianeta, la scelta – urgente più che mai dopo la catastrofe pandemica da Covid-19 – di collaborazioni internazionali fondate sul rispetto della dignità, della salvaguardia della vita di ogni essere umano, dovrebbe essere nelle cose, lasciando a un lontano ricordo la storia surreale delle guerre, degli armamenti e delle catastrofi dovute alle scelte nefaste degli uomini.



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