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BURKINA FASO / UNA SOCIETÀ CIVILE MOLTO VIVA

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I fatti di cronaca che hanno sconvolto il Burkina Faso per una volta si sono guadagnati le (brevi) cronache anche dei nostri telegiornali: il padre-padrone Blaise Compaoré rovesciato dopo 27 anni di potere, proprio quando il parlamento si apprestava ad approvare una modifica costituzionale che gli consentisse di presentarsi alle prossime elezioni per il terzo mandato presidenziale. Ne sono seguiti giorni di caos, nei quali l'esercito ha tentato di prendere il potere ed impadronirsi della transizione.

Ma la gente in piazza – non qualche migliaio, ma un milione di manifestanti per le strade di Ouadougou  – ha retto il colpo, impedendo un'ennesima deriva autoritaria.

Ora è stato scelto un presidente di transizione che governerà il paese fino alle prossime elezioni, in calendario per il novembre 2015. Passaggio ancora delicatissimo, con i militari sempre in agguato, ma il peggio pare scongiurato.

L’EREDITÀ DI SANKARA

Nonostante i molti anni di potere dispotico di Compaoré, il Burkina Faso mantiene una società civile tra le più vive e responsabili del continente. È l'eredità di Thomas Sankara, il padre della patria, una delle figure più significative del secolo scorso. Ucciso nel 1987 con una dinamica mai ufficialmente chiarita, ma con la quasi certa partecipazione diretta di Compaoré, l'eredità spirituale di “Tomsan” ha mantenuto un peso norme nella cultura e nel sentire comune dei burkinabé. E gli ultimi fatti ne sono la riprova.

Tra i numerosissimi cittadini scesi in piazza nelle scorse settimane a difesa della costituzione, c'è ad esempio il gruppo “Le balai citoyen”, fondato nell'estate del 2013 da due cantanti-attivisti, il rapper Smokey e il cantante reggae Sams K Le Jah. Fin dal suo esordio, il movimento si è schierato contro la modifica dell'art. 37 della costituzione (che limita a due i mandati presidenziali), ma ha anche puntato a obiettivi più concreti, come il prezzo delle bombole di gas, lievitato del 50%, senza alcuna spiegazione. I due fondatori avevano lanciato una canzone per “risvegliare le coscienze”: “Invitiamo ogni cittadino burkinabé a riconsiderare il suo ruolo nella marcia della società civile, perché siamo rimasti troppo a lungo ai margini di tutte le decisioni. Oggi ciascuno di noi si impegni sinceramente e in modo responsabile, civico, perché abbiamo la profonda convinzione che un altro Burkina è possibile”.

Passa un anno dalla nascita del movimento: il padre-padrone del Burkina Faso porta avanti il suo progetto di revisione costituzionale. Ed è rivolta. Le Balai Citoyen, che nel frattempo si è organizzato e ha preso forza, lancia una mobilitazione sul web. Dopo la sollevazione popolare, con tanto di assalto e incendio del parlamento, e la fuga di Blaise Compaoré, le Balai Citoyen ha organizzato per il giorno successivo un'azione semplice e significativa: i cittadini sono scesi per strada a... pulire. Con un appello al senso civico, ha convinto molti a darsi da fare per rimettere in ordine la capitale.

Non a caso, “balai” in francese significa “scopa”: l'intento dichiarato è quello di fare pulizia, in tutti i sensi.

IL “MANIFESTO” DEL MOVIMENTO

Nella presentazione ufficiale del movimento si legge: “Le Balai è un movimento apolitico, per tutti quelli che vogliono reagire senza impegnarsi in un partito politico. Siamo dei folli. [...] Seguiamo le idee, non gli individui, né le istituzioni esterne. Al contrario di ciò che dice la gente, non abbiamo affatto ambizioni politiche. L'interesse per noi è di mostrare alla gente che bisogna reagire. E noi cerchiamo di essere delle sentinelle. [...] Per quasi trent'anni abbiamo subito, subito e mai reagito. Una piccola parte della popolazione ha cominciato ad arricchirsi impunemente mentre il resto dimagrisce. Crediamo sia venuto il tempo di dare un bel colpo di ramazza a tutto ciò per gridare il nostro 'basta'.”

I “Ci'Bals”, come sono chiamati i membri del collettivo di impronta sankarista, non sono numerosi sono nella capitale Ouadougou. Anche a Bobo Dioulasso, la seconda città del paese, hanno lavorato molto.

IL NUMERO CHE FA LA FORZA

Racconta uno dei membri del gruppo a una testata francese: “Qui nessuno era mai sceso in piazza per protestare. Quando mi sono messo a battere i mercati gridando in un megafono, la mia compagna si è vergognata e mi ha lasciato, la mia famiglia ha cercato di scoraggiarmi, altri mi hanno deriso e ho perso il lavoro”.

Ma non è il solo. Nel gruppo, anche due ragazze ventenni, una cristiana e l'altra musulmana, ma con una forte militanza in comune.

Raccontano le prese in giro all'università, i tentativi delle famiglie di chiuderle in casa. Nonostante le fatiche e lo scoraggiamento, entrambe non hanno mollato. Anche prima degli ultimi fatti eclatanti, hanno fatto molto, ad esempio, chiedendo indennizzi per gli abitanti di una baraccopoli che il sindaco voleva cacciare, ottenendo l'illuminazione pubblica notturna delle strade per evitare gli incidenti, domandando un intervento contro i continui blackout.

Azioni semplici ma fastidiose, tanto che sono cominciate le intimidazioni e gli arresti. Indelebile resta il ricordo di quei giorni: la marcia della disobbedienza il 28 ottobre, l'operazione “città morta”, le barricate alle 5 di mattina, il loro arresto che galvanizza la folla e che scatena i giovani in un impeto di rabbia a distruggere gli edifici pubblici e le case dei notabili della città. Gli stessi Ci'Bal non si attendevano una tale mobilitazione: è stata la folla a liberarli e portarli a casa. “Probabilmente, il più bel giorno della mia vita” commenta uno di loro, con indosso la t-shirt nera del movimento, con il  simbolo e la scritta “Il nostro numero fa la nostra forza”.

L’IMPORTANZA DEI SOCIAL NETWORK

Ormai, dopo le primavere arabe, le rivolte sono tutte “rivoluzioni 2.0”. il 30 ottobre l'hashtag #Lwili impazza su twitter: oltre 25mila tweet in un solo giorno. Lwili significa “uccello” in lingua mooré ed è una sorta di parola d'ordine con cui i burkinabè si riconoscono sul social network. Il 30 ottobre, la rete vacilla, viene addirittura sospesa durante la mattinata. Ma ormai il dado è tratto. E la radio, che resta il mezzo di comunicazione più diffuso, riprende e amplifica l'effetto di traino dei social media.

La loro influenza non è ancora tale da modificare il corso degli eventi, tuttavia crea legami, diffonde informazioni e immagini e soprattutto internazionalizza gli eventi. Non solo in Occidente.

L'hashtag #lwili è stato infatti ripreso molte volte anche in paesi come il Rwanda, la Repubblica democratica del Congo, il Congo Brazzaville e il Burundi, direttamente interessati al rischio di modifica costituzionale per permettere una nuova candidatura ai loro rispettivi presidenti



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