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"Una voce in silenzio", Il Garibaldi del Bangladesh

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Il 16 dicembre scorso, per una decisione improvvisa, sono rientrato in Italia. Mi hanno accompagnato i medici ortopedici di Parma, il dottore saveriano Claudio Modonutti, p. Pierluigi Lupi e p. Giovanni Abbiati. Dovevo urgentemente farmi operare all’anca destra ed ero un po' preoccupato. Ora sono a Villaverla e approfitto per dirvi qualcosa sui saveriani in Bangladesh.

In particolare, vorrei riferire sul ruolo che abbiamo svolto durante la guerra di liberazione dal Pakistan nel 1971. Un ruolo prezioso e significativo l'aveva avuto soprattutto p. Mario Veronesi, ucciso dai soldati pakistani in un agguato poco prima della Messa delle Palme, il pomeriggio del 4 aprile di quell'anno.

Un libro, un'inchiesta

Il 9 dicembre scorso è stato pubblicato a Dhaka il libro dal titolo, "Padre Rigon, una voce in silenzio". Alle origini del libro c'è una piccola storia, che vi racconto. Alla fine del 2005, il giovane scrittore e giornalista Kabbo Kamrul era venuto alla missione di Shelabunia, ai margini della foresta vergine del Bengala, a chiedermi se poteva scrivere la mia vita. Non avevo obiezioni. Lo scrittore ha voluto sapere i luoghi dove avevo lavorato in Bangladesh durante tutti questi anni. E subito è andato in tutte le missioni alla ricerca di notizie e informazioni sul mio servizio.

Tornò sorpreso di quanto aveva udito in giro. Mi chiese: "Padre, lei ha lavorato tanto e ha fatto molte cose. Perché non ha mai dato informazioni delle sue attività?". Risposi che io non ero preoccupato di quanto facevo o avevo fatto, ma di quello che dovevo fare.

Il mio diario di guerra

Il giovane era rimasto impressionato soprattutto del lavoro compiuto a Baniarchor, una zona agricola povera e depressa, a metà strada tra le città di Dhaka e Khulna. Qui mi trovavo nel 1971 durante la guerra di liberazione del Bangladesh. Era venuto a sapere come avevo difeso la gente dagli assalti dei soldati pakistani e come avevo aiutato la resistenza, assistendo coloro che venivano feriti.

Gli confidai che avevo tenuto un diario di quel periodo, ma era in italiano. Mi pregò di tradurlo in inglese. Il diario tradotto è stato poi rilegato e donato al "museo della resistenza" a Dhaka, il 9 dicembre 2006, lo stesso giorno in cui è stato pubblicato il libro, "Padre Rigon, una voce in silenzio".

Padre Veronesi e la bandiera

Kabbo Kamrul ha voluto accompagnarmi lui stesso a visitare il museo. Là ho visto esposta la foto di p. Mario Veronesi, con brevi note che descrivevano la storia del suo martirio. Fui preso da grande emozione al pensiero che, tra coloro che avevano dato la vita per il Bangladesh, c’era anche un missionario saveriano.

Mi sono commosso anche nel vedere la foto di una piccola bandiera che sventolava sopra la casa della nostra missione di Bhabarpara. Era la bandiera del Bangladesh: un campo verde con il sole rosso al centro. La bandiera era stata cucita da suor Caterina, una religiosa bengalese della congregazione di Maria Bambina. Dicono sia stata la prima bandiera bengalese a sventolare nel cielo del Bangladesh liberato!

I saveriani e la liberazione

Alla cerimonia del 9 dicembre, a Dhaka, era presente anche Emayet, colonnello della resistenza che comandava 5.000 soldati nell’area di Baniarchor. Un giorno Emayet era stato trasportato alla missione ferito gravemente. I nostri medici e le suore lo avevano medicato e curato. Era tornato subito nel campo di battaglia, nonostante una raffica di mitra lo avesse colpito alla bocca, portandogli via tutti i denti. I feriti della resistenza venivano alla nostra missione a farsi medicare di notte, quando i soldati pakistani sospendevano le operazioni di rappresaglia.

Nella missione cattolica, quindi, abbiamo difeso il popolo bengalese con l’aiuto e l’assistenza, a rischio anche della propria vita.

Per questo, i bengalesi della zona mi chiamano ancor oggi: "liberatore degli eroi della liberazione".



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