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Una testimonianza dal Camerun

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La gente ha tanto bisogno di speranza

Così scriveva il giornalista Giovanni Franchi su “Corriere Valsesiano” dell’8 settembre scorso: “Immaginate un Paese lontano, nel centro dell’Africa, dove la gente è composta da 132 tribù, ma comanda una sola... E pensate a una città di 500mila abitanti, alle prese con il solito grande dilemma: ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.

2006 11 Camerun1Adesso immaginatevi un prete sui cinquanta, tarchiatello, valsesiano e, quindi, con la testa dura. Chiamate questo prete “padre Oliviero”, la città Bafoussam, e il Paese Camerun: avrete così identificato il protagonista e l’ambiente di questa storia”.

Ma lasciamo che sia padre Oliviero a raccontarci la sua storia...

A settembre ho compiuto trent’anni di “servizio” missionario. Dopo l’esperienza in Sardegna, in Calabria e in Congo, dal gennaio 2003 sono in Camerun a compiere “opera di evangelizzazione”. La città in cui si trova la mia missione è a 1.300 metri d’altitudine, nella regione occidentale del Paese centrafricano.

Qui la gente non muore di fame, ma ha fame di giustizia. Il Camerun è un Paese che risulta fra i più corrotti del mondo. Se riescono a finire le scuole, i ragazzi cercano di andare altrove, perché qui non c’è lavoro e il sistema sociale ed economico ha grandi problemi.

Contro la disgregazione

La nostra attività di missionari è condotta soprattutto nella periferia della città. Prima eravamo titolari della parrocchia, ora collaboriamo con la chiesa locale. Cerchiamo di sensibilizzare e di evangelizzare, ma la situazione è difficile. Ci confrontiamo con un problema sostanziale: la gente non ha prospettive.

La situazione sanitaria è al limite, con ospedali di qualità accessibili a pochi e un’assistenza sempre più scadente e costosa, che arriva fino alla casa dello stregone. Poi ci sono le tensioni sociali, frutto di invidia e gelosia, l’isolamento fra i clan, che fa considerare gli altri come persone estranee... In questo quadro noi cerchiamo di fare un lavoro di comunità di base. Vivere insieme, trovarsi insieme, lavorare insieme, per superare la frammentazione.

Cento alunni per classe

Un altro problema grave è la poligamia, sancita da una legge dello Stato. Il risultato è che chi può, scarica i problemi dei figli sulla madre, mentre anche la scuola vive crisi organizzative enormi. Nel Paese ci sono istituti di buon livello e le scuole “confessionali” cattoliche, protestanti e islamiche. Ma, generalmente parlando, le scuole sono ridotte abbastanza male. C’è difficoltà a reperire il materiale didattico. Ci sono classi che arrivano ad avere fino a 110 alunni!

Ora c’è una certa propensione dei ricchi signori locali a fornire computer. Ma anche il computer può rivelarsi a sua volta un problema. C’è una grande diffusione di internet point, i piccoli negozi dove ci si può connettere in rete. Si è visto però che l’informatizzazione serve più che altro a diffondere dvd pirata pornografici e a fare prosperare giri di prostituzione.

“Dove mangia la capra?”

La diffusione dei telefoni cellulari è altissima, favorita anche dalla difficoltà di avere un telefono fisso. Nelle case manca tutto, ma c’è spesso il lettore dvd. Diventa difficile riuscire a spiegare alla gente che si possono e si devono fare altre cose per migliorare il tenore vita. È quasi impossibile chiedere alle persone di prendere coscienza di sé, quando ci sono ancora barriere tribali che andrebbero ridimensionate.

Un proverbio dice: la capra mangia dove è legata. Per cambiare bisognerebbe “slegarla”, ma i legami familiari sono sempre più deboli e i ragazzi perdono i veri punti di riferimento. C’è bisogno di molta speranza e di dare alla gente la speranza.



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