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Una giornata movimentata: Tra ragazzi di strada e tante altre cose

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Dopo qualche mese di silenzio, è tornato a scriverci p. Lino dal Burundi, il paese che trova difficoltà a vivere in pace

Ore 6 e trenta del mattino. Manca l’acqua nella doccia, ma alle sette arrivo comunque al centro enfants soleil, dove sono ospitati i ragazzi di strada. Attendo inutilmente il camion della missione di Kamenge. Doveva portarmi un sacco di cemento per far riparare l’unico lavandino esistente. Trovo invece Blaise, un ragazzo di 13 anni, che indossa una specie di asciugamano sui fianchi perché tre giorni fa gli hanno rubato i pantaloncini… Anche oggi mi sono dimenticato di portargli i pantaloni.

La clinica dell’Onu

Finalmente, riesco a partire con una Toyota che mette a dura prova i miei avambracci, per i tanti scossoni. Torno al centro dei ragazzi di strada, in tempo per portare alcuni di loro alla clinica dell’Onu: due con piaghe tropicali ai piedi; uno con un ascesso in mezzo alle gambe; uno è caduto dal letto a castello e ha un piede con sospetta frattura; uno ha ricevuto una pedata all’inguine inseguendo un pallone. Il problema, adesso, non è più quello del cemento e dei calzoncini. È quello di riunire questi ragazzi, vedere se si sono lavati, se hanno trovato qualcuno che presta loro una maglietta o un paio di ciabatte, per non presentarsi sporchi davanti ai medici. Io ricordo a tutti che sono belli e che, se sono anche puliti, sono ancora più belli. Così loro si sentono coccolati. Sono le 9 e trenta. Arriviamo alla clinica che si trova sulla strada che porta verso il Congo.

Stanno medicando un burundese investito da una macchina dell’Onu. I parenti del poveretto arrivano a frotte per sapere chi pagherà e quanto pagherà. Quando si è investiti da un mezzo della forza dell’Onu presente in Burundi per assicurare la pace, normalmente è un affare, perché si viene rimborsati bene. Torno a casa che sono le 12 e trenta. Per pranzo, sono rimasti piselli e macedonia di frutta, fresca e nutriente.

La partita e le paghe

Alle 14 e trenta sono di nuovo al centro enfants soleil, perché una classe del “liceo belga” verrà a giocare con i ragazzi di strada. Questi hanno vergogna e scappano a nascondersi. Bisogna andare a scovarli uno per uno e spiegare loro che è normale provare vergogna per chi vede per la prima volta ragazzi e ragazze sconosciuti. Ma superare la vergogna è segno di crescita...

Lascio l’incarico dell’accoglienza a quattro nostri animatori e ritorno a casa perché devo preparare le paghe degli operai che stanno costruendo la chiesa del centro giovani Kamenge: due dollari al giorno, quando altrove ricevono 50 centesimi di dollaro. Il tempo passa veloce ed è già ora di tornare al centro enfants soleil per andare ad accompagnare a casa i nostri animatori.

Incontri inaspettati

Sulla soglia di casa trovo un uomo che dice essere un ribelle congolese. Gli avrebbero consigliato di venire a nascondersi a Bujumbura. “Ieri sera ho trovato una bomba a mano nella casetta dove ero alloggiato e ora devo scappare di nuovo. Sono senza soldi”. Gli rispondo: “Non posso aiutarti così, senza che nessuno ti presenti; lasciami l’indirizzo della casa in cui hai trovato la granata”.  “Padre - mi dice - non lo ricordo; ma soprattutto io volevo solo chiederti un consiglio...”. Non ho fatto in tempo a chiedergli quale consiglio fosse, che quello già si era liquefatto nel crepuscolo della sera.

Incontro anche un politico, forse il più onesto di tutti, che fa campagna elettorale donando occhiali. “Padre ti lascio questo ragazzo per il quale non ho trovato un paio di occhiali adatti”. Mi rendo conto che il ragazzo ha un occhio che guarda le colline a est della città e con l’altro guarda il lago Tanganika a ovest. “Ma sì, onorevole, lo lasci qui. Lunedì mattina lo porterò da un oculista...”.

Domattina ricomincerò

È già sera quando torno verso casa. Da lontano, vedo che al bivio di uscita da Kamenge una macchina ha investito un uomo e lo ha gettato in una pozzanghera. Due persone si avvicinano al ferito e lo sollevano. Barcolla. Si tiene un braccio e va con passo incerto verso casa. Stavolta nessuno si preoccupa di lui. Non è una camionetta dell’Onu che lo ha investito!

Arrivo a casa che la Messa è già iniziata. Non riesco a concentrarmi bene. Sono preso dal pensiero di preparare una convenzione tra il ministero degli Affari sociali e il centro giovani Kamenge che regoli la nostra attività con i ragazzi di strada. A cena c’è riso con fegatini, macedonia di manghi, papaia, banane, succo d’arancio. Poi esco a dire il rosario per il nuovo papa e per le missioni.

Passo nella chiesetta. Trovo che l’olio della lampada del Santissimo si sta esaurendo; ne verso dell’altro.  Entro nella mia stanza per vedere se mi è arrivata qualche posta elettronica e trovo sedici virus. Sedici subdoli virus che si presentano dentro la mia posta. Per fortuna mi hanno insegnato ad usare l’antivirus.

Ancora una volta, mi trovo a chiedermi se il Signore sarà contento di questa mia giornata, così spezzettata, così frenetica. Chiedo perdono a Dio. Ma mi sento già pronto a ricominciare domattina.

Prima di addormentarmi sento una raffica di spari, verso le colline, a due chilometri da qui. Il giorno dopo ci confermano che sono state uccise tre persone.



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