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Un grande africano amico: Card. Gantin, uomo di statura elevata

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Il 13 maggio, all'ospedale "Pompidou" di Parigi, è morto il cardinale Bernardin Gantin. Aveva 86 anni. Con lui scompare una personalità di alto livello, una delle più belle figure cristiane dell'Africa contemporanea, orgoglio del Benin e amico dei missionari.

Chi scrive questo breve profilo ha avuto l'onore e la gioia di conoscerlo e di essere trattato amichevolmente da quest'uomo, alto fisicamente e ancor più spiritualmente. Il card. Gantin era una persona capace, cordiale e alla mano. Attraversava la strada per salutarti e si interessava di te, del tuo lavoro. S'informava della nostra famiglia missionaria e dei saveriani che conosceva personalmente.

Un "pezzo da novanta"

Metteva a loro agio i suoi interlocutori, pur essendo un... pezzo da novanta della gerarchia romana. È stato il primo africano ad approdare alle più alte cariche della curia, scalando silenziosamente tutti i gradini, fino a diventare decano del Collegio dei cardinali. Ma era rimasto semplice e umile, come un fanciullo africano.

Era nato in Benin (che allora si chiamava Dahomey), figlio di un dipendente delle ferrovie coloniali francesi. Gantin significa "albero di ferro": un nome che gli calzava perfettamente, perché era solido e massiccio come una quercia. Era diventato prete nel 1951, formato dai missionari d'Africa di Lione, cui era rimasto affezionato. Spesso dichiarava la sua riconoscenza per i missionari di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Dopo due anni di sacerdozio, fu mandato a Roma per completare gli studi di teologia e diritto. A 34 anni - uno dei più giovani vescovi di allora - fu eletto ausiliare dell'arcivescovo di Cotonou mons. Parisot, al quale succedette il 5 gennaio 1960, come primo arcivescovo metropolita dell'Africa francofona. La sua preoccupazione principale fu di consolidare la chiesa locale, sollecitando la collaborazione dei missionari.

Africano a Roma

Paolo VI lo chiamò a Roma nel 1971, come segretario della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, che proprio allora cercava la sua nuova identità dopo il Concilio. Impegnato al servizio della chiesa universale, non dimenticò mai la sua terra d'origine, cui faceva regolarmente ritorno.

Aveva un occhio di particolare attenzione per la crescita della chiesa in Africa, specialmente per quelle regioni dove essa soffriva. Ricordo la sua sollecitudine per il Burundi in occasione della sanguinosa repressione del 1972. Andò a visitare quella chiesa per confermarla nel suo dovere di avvocata dei più deboli. E continuò a informarsi anche quando fu trasferito ad altri incarichi.

Infatti, a Roma si fece presto conoscere meglio e stimare ancor di più. Fu chiamato a presiedere il Consiglio Cor Unum e la Commissione giustizia e pace, finché Paolo VI lo creò cardinale il 27 giugno 1977. Dopo l'improvvisa morte di papa Luciani si era parlato di lui come "papabile". Nell'aprile 1984 fu nominato prefetto della Congregazione per i vescovi, uno dei dicasteri più importanti. In quel ruolo, toccò a lui firmare il decreto di scomunica per mons. Lefebvre, che egli conosceva bene.

Romano in Africa

Il 5 giugno 1993 fu eletto dai cardinali decano del loro Collegio, un compito di grande prestigio che egli svolse fino all'ottantesimo anno di età, il 30 novembre 2002. In quell'occasione il cardinale fece ritorno a casa, per continuare a essere, dopo 30 anni d'assenza, "missionario romano in Africa", come gli piaceva dire, e per dare un aiuto alla sua chiesa cui era rimasto profondamente legato.

Certo, i suoi concittadini del Benin e dell'Africa intera avrebbero voluto conservare più a lungo questo monumento di saggezza e di umanità che era il card. Gantin, ma sorella morte è venuta a trapiantare l'albero di ferro nel giardino della casa del Padre.

Questa straordinaria figura di cristiano d'Africa, patriarca saggio e fraterno, brillante per la sua intelligenza e per la sua incredibile memoria, forte nella tempesta, ma delicato e umile, che non sembrava tener conto del suo rango di principe della chiesa, non sarà dimenticata.

E noi missionari saveriani, che egli stimava al di là dei nostri meriti, alla maniera africana gli diciamo: "La terra d'Africa ti sia leggera, eminenza!".



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