Un aspetto importante, Ma spesso lo dimentichiamo...
Nei miei editoriali vi ho spesso parlato delle situazioni del mondo, mettendo l'accento (come poteva essere diversamente?) sulle situazioni di disagio e di marginalizzazione in cui vivono tanti fratelli e sorelle di tante nazionalità. Era - ed è - un dovere di noi missionari farci voce di chi non ha voce, per dare un'attenzione preferenziale ai più poveri. Sono stati discorsi carichi di responsabilità, ma anche di speranza e di futuro, come sempre deve essere un discorso missionario.
...in ogni momento
All'inizio di quest'anno nuovo, voglio toccare un tema che spesso crediamo sia conosciuto, e che quindi diamo per scontato, ma che io, per primo, rischio di dimenticare. San Paolo, facendo eco alla parola di Gesù - "Pregate e vegliate in ogni momento" - nelle sue lettere ci ricorda il dovere di pregare "incessantemente, senza stancarci mai".
Ora, se c'era un uomo che sentiva il dovere di lavorare per il vangelo e che per essere fedele alla sua vocazione ha faticato e sofferto, questi è Paolo. Ma proprio per questo, egli sentiva il dovere di pregare e di esortare alla preghiera. Perchè?
Primo, perché era convinto che è solo Dio che dà solidità e durata al lavoro apostolico: "io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere". Secondo, perché Paolo ama talmente il Signore che vuole essere in comunione con Gesù Cristo, e quindi con Dio: "per me vivere è Cristo". Sicché la sua instancabile attività sgorga dall'unione con Dio, dalla preghiera.
Nella nostra debolezza, la forza del Signore
Ci vuol poco a capire che l'opera affidata a noi missionari supera talmente le nostre possibilità che, se vogliamo portarla avanti, abbiamo bisogno della forza di Dio. Ogni giorno tocchiamo con mano la nostra povertà e debolezza. Ed è proprio questa consapevolezza che ci rende coscienti del bisogno della preghiera e ci assicura che, se umilmente la riconosciamo, ci mettiamo nella condizione di essere accolti da Dio e di ricevere da lui la rivelazione dei suoi progetti e la sua forza per realizzarli.
Lo dice Gesù nel vangelo: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli". Ce lo mostra Paolo che, sulla strada di Damasco, riconosce di essere un persecutore e riceve da Gesù Cristo la rivelazione della sua missione: "Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora...".
L'occupazione più vera
Noi pure, nell'incontro quotidiano con il Signore, siamo resi sempre più coscienti della nostra missione e riceviamo la forza per realizzarla. Pregare è l'occupazione più vera del missionario: gli permette di sapere quello che Dio vuole da lui; gli dà le coordinate della sua azione; lo mette nella condizione di apprendere la Parola; lo rimette nella sua posizione di intercessore e di fratello universale, che fa suoi i problemi del mondo intero.
Grazie alla preghiera, all'incontro quotidiano con Dio, il cuore del missionario si dilata e assume le dimensioni del cuore di Gesù Cristo, fa sue le urgenze spirituali e materiali del mondo. Come Gesù, ogni cristiano - a maggior ragione ogni missionario - sente di essere inviato. Sa che non può limitarsi a contemplare il Signore, attività che sarà esclusiva nella vita eterna, ma deve esserne anche testimone nel mondo.
Se ha contemplato la compassione del Signore, la rifletterà nella sua vita; se ha contemplato il suo dono totale al Padre e ai fratelli nel sacrificio della Croce e nell'Eucaristia, lo tradurrà in gesti d'amore, d'attenzione, di dono di sé, d'accoglienza e di cura per gli altri.
Questa è la spiritualità missionaria: la combinazione di preghiera e di azione, di ascolto e di obbediente esecuzione della Parola.
È un cammino attraverso il quale lo Spirito ci conduce a cercare Dio e ci riporta in mezzo ai nostri fratelli.