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Scuotete la polvere dal cuore

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LA PAROLA
Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino». Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. Guai a te, Corazìn, guai a te Betsàida! Perché se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,10-16).

Niente assicura che l’annuncio del Vangelo venga accolto da tutti. Né le migliori intenzioni, né la vita più santa sono garanzia di accettazione. La pace si offre, ma se non c’è qualcuno disposto ad accoglierla, la pace tornerà indietro. Ciò vuol dire che una pace rifiutata potrebbe far sorgere guerre e inimicizie. Da lì a voler fare i lupi, il passo è breve. Non si giustificherebbero le crociate, le conversioni forzate, la dottrina di Ginés de Sepúlveda che dichiarava gli indios gente senz’anima, il disprezzo dei perfidi ebrei, se l’imposizione del Vangelo non fosse stata ritenuta volere divino.

Uscire dalla città scuotendo la polvere dai calzari è un gesto iperbolico che avrebbe conseguenze drammatiche, se lo si prende alla lettera. Non portare nulla con sé, neanche la polvere così fastidiosa e penetrante di colui che ha rifiutato l’annuncio, significa lasciarlo libero di fare ciò che crede. Tuttavia, non basta andarsene, occorre liberare anche il cuore dalla polvere del fallimento, senza covare vendette, senza tornare ossessivamente su un passato che chiede di rimanere tale.

Le parole di duro giudizio pronunciate da Gesù su Cafarnao vanno lette sullo sfondo dell’attesa apocalittica che pervadeva il giudaismo del Secondo Tempio. I tempi ultimi erano prossimi e con essi il giudizio di Dio. Per sfuggire a tale giudizio era necessario convertirsi, operare il bene e la giustizia. I segni prodigiosi compiuti da Gesù non erano manifestazioni di potere, quanto piuttosto la traduzione in opere del regno futuro senza sofferenze, né fame, né lutto che stava per giungere. Erano un invito pressante a cambiare rotta, a mettersi d’accordo con l’avversario prima di trovarsi di fronte al giudice perché, una volta là, non restava che ricevere la sentenza definitiva. Il tempo della vita era offerto per diventare giusti e ottenere il perdono che salvava dal giudizio.

Gesù constata amaramente che questo non è avvenuto lì dove lui ha compiuto più miracoli: Corazín, Betsaida, Cafarnao. I vicini sono sempre i più restii ad aprirsi alla conversione. Ninive, la città emblema del male, abbandonò la sua ingiusta condotta con appena due parole del contrariato Giona. Chi non si convertì fu, paradossalmente, il profeta del Signore. Non potè riconciliarsi con la misericordia divina, troppo a buon mercato per i suoi gusti. Tiro e Sidone erano due città fenicie tradizionalmente nemiche di Israele, simbolo di orgoglio e ricchezza. Pur essendo corrotte, se avessero visto anche un solo miracolo di Gesù, da tempo si sarebbero pentite e avrebbero percorso la via del Signore.

Più che una maledizione, il guai di Gesù, pronunciato sulle città da lui amate, è un ultimo grido perché si ravvedano prima del giudizio e accolgano il messaggio di pace affidato ora ai discepoli. Tutto si giocherà su parole umane, non su prove sbalorditive, non su miracoli o imposizioni. La morte di Gesù non zittirà l’annuncio. Esso continuerà a parlare sulle bocche dei settantadue inviati provenienti dalle genti. Ascolto o rifiuto sono le due strade che si apriranno anche di fronte a loro, a riprova dell’inalienabile valore della libertà altrui.



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