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Ricordando e ringraziando… In Brasile da più di 40 anni

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Dal 22 settembre del 1959 appartengo alla congregazione saveriana. Ero già stato destinato alla missione quando, il 1º giugno 1968, nella chiesa di S. Nicolò a Meldola sono stato ordinato sacerdote. Dopo tre mesi, sono partito per l'Amazzonia. Da allora, grazie al Signore e all'ospitalità del popolo brasiliano, continuo la mia missione.

Una libertà indescrivibile

"Esci dalla tua terra e va' dove ti mostrerò", questo era lo slogan della preparazione alla missione. Ma proprio pochi giorni prima di partire, trovandomi in famiglia, avvertii qualcosa di strano. Mamma già da nove anni mi accompagnava dal cielo, mentre il babbo e mio fratello erano così amabili e affettuosi; gli altri parenti e amici, la gente di S. Lorenzo di Meldola... tutti tanto cari. E poi la casa, il pozzo, l'ombra amica dei noci e dell'olmo dove la notte dormivano appollaiate le galline, il nespolo, la vigna accanto a casa e là, lontano, le colline con Bertinoro, Teodorano, Castelnuovo, Montevescovo...

Mai, come in quel momento, avevo sentito tutto così buono e così bello. Eppure, appena salito sul treno per Parma e poi al porto di Genova, provai nel cuore una libertà indescrivibile che ancora mi accompagna.

Sempre contento di vivere

In Brasile erano gli anni difficili della dittatura. Assieme ad altri religiosi e a tanti laici, mi sono convinto che dovevamo testimoniare la grande verità cristiana: "Dio è amore!". Seguendo questa esperienza, ho vissuto la missione nelle parrocchie, insieme alle comunità ecclesiali di base, ai gruppi del vangelo, ai vari animatori pastorali, visitando le famiglie lungo i fiumi e nella foresta, presso il popolo kayapó. Grazie a Dio, sono sempre contento di vivere.

Attualmente faccio parte dell'équipe della pastorale indigenista dei saveriani. La nostra base si trova nella cittadina di Redenção e viviamo la giornata con gli indio kayapó. Quando non visitiamo gli indio nei villaggi, sono loro che vengono ogni giorno e a ogni ora. Alla chiesa locale ricordiamo il dovere dell'impegno sociale e dell'evangelizzazione verso gli indio, primi abitanti del Brasile.

Piangere per amicizia

Non ho una lunga lista di "cose da fare", che potrei presentarvi. Eppure, nei villaggi kayapó, noi missionari siamo di casa e ci sentiamo in famiglia, tanto che, tornando al villaggio dopo una lunga assenza, la comunità piange, per esprimere i sentimenti di forte amicizia.

Stando in città, siamo noi che accogliamo i kayapó e, per quanto possiamo, cerchiamo di corrispondere alle loro richieste. Cerchiamo anche di far sì che i "bianchi" conoscano il popolo kayapó, con i suoi valori e la sua spiritualità. La società ha il diritto e dovere di capire e stimare quel popolo che il progresso ha sfruttato per poi relegarlo ai margini. Quanto legname e quanti minerali sono stati portati via dalle terre che gli indigeni hanno preservato per secoli!

Il lavoro di coscientizzazione nella società avviene attraverso mostre di artigianato kayapó e conferenze nelle comunità e nelle scuole. Un giorno, dopo la nostra spiegazione, una bambina di sette anni ci ha incaricato di portare il suo abbraccio a tutti i kayapó.

C'è bisogno di un abbraccio

È questo abbraccio che i kayapó stanno aspettando dai "bianchi". È appunto l'accoglienza, la solidarietà, la fraternità, il rispetto e la valorizzazione della loro cultura che noi missionari chiediamo alla gente delle città che gli indio frequentano. Sentendosi accolti e amati, certamente i popoli indigeni faranno l'esperienza del vangelo di Gesù.

Nell'avventura della missione il Signore non ci abbandona mai.

Ne è tangibile segno la Provvidenza che, grazie a tante persone generose, sostiene la nostra attività. Il Signore e la Vergine Santa ricompensino con le loro grazie, adesso e sempre, tutti voi, cari amici e amiche di Romagna.



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