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Riannodare i fili della memoria

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Un grande evento storico e una figura significativa per Gallico sono stati commemorati sabato 7 febbraio a cura della compagnia “La Bottega teatrale di Giangurgolo” presso la sala Azzurra del parco della mondialità.

Con lo spettacolo “A cento anni dalla grande guerra” è stato rinnovato il ricordo di Pino Santoro, persona di riferimento per molti gallicesi, e quello della guerra ‘15-18, nella quale i quartieri di Gallico e di Sambatello hanno perso tante giovani vite.

Il piacere del sapere

Oreste Arconte, responsabile della Bottega teatrale, promotore dell’iniziativa e uno degli allievi del ”Prof. Santoro”, ha sottolineato la caratura umana e culturale dell’intellettuale gallicese che ha insegnato loro il piacere del sapere e il rispetto verso gli altri. Arconte ha ribadito l’importanza della memoria, come elemento indispensabile nella formazione dell’identità individuale e collettiva, il cui valore oggi è messo in grave pericolo.

È stato ricordato il “testamento spirituale” di Pino Santoro che ha invitato i giovani a ricercare la conoscenza, ad affidarsi a Dio come fonte di fiducia e di sapienza.

Sono insegnamenti provenienti da un uomo che ha combattuto dalla trincea della sua sofferenza le asperità della vita, avendo come “armi” la fede, l’arte e la bellezza della relazione umana.

Il valore della vita

Lo spettacolo ha testimoniato  che il messaggio di Pino Santoro è stato accolto, perché attraverso l’arte si è cercato di contribuire a mantenere viva la memoria di una tragedia mondiale e di un figlio di Gallico, quartiere che ha espresso tanta storia e cultura.

La storia non deve essere oggetto di oblio né di ne​gazionismo, perché è necessaria per una consapevole spiegazione anche della realtà attuale. Il racconto della prima guerra mondiale, nella sua drammaticità, ha ben ricostruito il quadro storico di fine Ottocento - inizio Novecento. Purtroppo, ancora una volta è emersa la predominanza del potere utilitaristico rispetto al valore della vita.

Un buon ripasso di storia

Sono state evocate le atmosfere delle trincee avvolte dall’ansia dell’attesa, dalla noia del tempo sprecato nell’ozio, dal pericolo sempre incombente e soprattutto dalla paura della morte, inutile per i giovani e per la società, ma voluta dai governanti.

I versi delle poesie, alcune scritte da poeti che hanno sperimentato direttamente il conflitto, e le tristi melodie dei canti di guerra hanno accomunato gli animi degli spettatori a quelli dei combattenti. Decorati o no, sono stati tutti “eroi”, perché non hanno conosciuto “il crepuscolo dei valori” e, pur rintanati nelle trincee scavate nelle montagne, simbolo di quiete e di silenzio e ora teatro di guerra, hanno trovato nel senso del dovere, nell’amor patrio e nel ricordo nostalgico della madre o della “loro bella”, un patrimonio di valori che li hanno resi ancora più grandi.

Sicuramente i giovani presenti hanno fatto un buon ripasso di un momento di storia che ha cambiato il volto dell’Europa.



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