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Quando si dice, "piccolo è bello"

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Calcutta sarebbe a due passi dal mio villaggio se non fosse per la frontiera che separa il Bangladesh dall'India. Proprio quando iniziavo la mia missione (1973), madre Teresa sognava di fare della sua vita "qualcosa di bello per Dio". E "piccolo è bello" era allora lo slogan che ispirava ogni iniziativa finalizzata a sollevare la povera gente del Bangladesh, un Paese appena uscito da una massacrante guerra con il Pakistan e da un ciclone tra i più devastanti della storia. Poi, la tentazione delle "cose grandi", pur necessarie nel terzo mondo ma non sempre proporzionate al piccolo passo della povera gente, ha portato fuori strada molte iniziative che erano buone.

Avrebbe potuto, invece...

Ancora oggi io resto affascinato da quel "piccolo è bello", che sa così tanto di profumo evangelico. Gesù avrebbe potuto dire, "il regno dei cieli è simile al seme di una grande quercia"; invece ha detto, "come un granello di senape", il seme più piccolo al mondo. Avrebbe potuto dire, "simile alla massa della pasta per fare il pane"; invece ha detto, "come un po' di lievito, un pizzico di sale".

Avrebbe potuto dire, "come la luce del sole"; invece ha detto, "come una candela sul candelabro". E poi Lui poteva guarire tutti i malati della Palestina e, perchè no, del mondo intero; invece ha guarito solo pochi fortunati che si sono trovati sul suo cammino. Nessuno può negare che in tutto il vangelo domini il senso della misura, la discrezione, la semplicità. "Chi avrà dato un bicchier d'acqua... Chi accoglie anche uno solo di questi bambini...".

La casa della speranza

Così, all'insegna di questa semplice filosofia, è nato in me il desiderio di dare una semplice testimonianza, discreta, senza cartelli pubblicitari né altoparlanti. Ho pensato di mettere il mio cuore e le mie mani al servizio di qualche disabile non cristiano (musulmano o hindu) che gradisse venire a vivere con me.

Dopo tanti anni questa iniziativa non si è ingigantita; è rimasta volutamente piccola. Ma è significativa, al punto che i musulmani vicini o di passaggio si pongono tante domande sul senso di quello che io sto facendo. La settimana scorsa è venuto a farci visita il professore che ha insegnato bengalese al saveriano messicano appena arrivato. Ha osservato estasiato le piccole attività di questa "Casa della speranza" ("Asbarbari" in bengalese).

C'era un disabile che sotto le piante dava ripetizione ai bambini poveri; un altro faceva candele da vendere; uno sciancato imparava a riparare bici e risciò per poi mettersi in proprio e sposarsi; uno storpio, con la stessa speranza, sedeva nel suo fatiscente negozio di caramelle e biscotti sul ciglio della strada; qualche altro disabile ricamava su piccoli pezzi di tela per farne delle cartoline.

Allah, marshallah!

Notando che anch'io non stavo a guardare, ma mi sporcavo le mani per fare una carrozzella con trazione a catena (la "Ferrari" che qui ogni disabile desidera avere!), il professore musulmano ha commentato: "È proprio vero, voi cristiani siete la religione dell'amore e del servizio ai più bisognosi. È tutto così bello qui, e penso che presto si ingrandirà". "No - gli ho risposto subito - questa iniziativa ha già più di 25 anni ed è rimasta piccola e con pochi mezzi, come agli inizi. Rimarrà piccola, ma preziosa agli occhi di Allah". Così d'istinto mi è venuto in mente di raccontargli la storia dell'obolo della vedova, piccolo agli occhi degli uomini, ma prezioso agli occhi di Dio.

Nella mia vita non ho mai visto nessuno ascoltare una pagina del vangelo così attentamente come quel musulmano, che ha concluso la conversazione dicendo: "Allah, marshallah!", la più grande espressione islamica di meraviglia e consenso.

Sì, "piccolo è bello". Dio voglia che anche Asharbari sia qualcosa di bello per lui.



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