La missione che cambia…
Sono arrivato a Parma nel 1959. La Casa Madre dei saveriani allora era letteralmente un “Grande Alveare”. C’erano la Direzione Generale dell’Istituto, lo Csam con la sua attività frenetica, la Procura delle Missioni, in piena effervescenza; lo Studentato Teologico con più di 100 teologi (tutti italiani) e i rispettivi professori e formatori; lo spazioso solaio per gli hobby degli studenti. Sono tornato in Casa Madre nel 2015, dopo 52 anni di “missione”. Il “Grande Alveare” produce ora una sensazione di deserto.
La Direzione Generale è a Roma, i teologi sono 73 (di cui solo due italiani), distribuiti in quattro Teologie internazionali (Camerun, Filippine, Messico e Italia). Lo Csam, ormai ridotto, è a Brescia, la Procura delle Missioni non ha la visibilità di un tempo e il solaio è abbandonato. Il quarto piano dell’edificio accoglie i missionari anziani, malati e invalidi. La “fabbrica di missionari” di Parma è profondamente cambiata. La stessa situazione si ritrova in altre congregazioni missionarie. Sarà la fine delle missioni?
Certamente no. I futuri missionari, nati in continenti differenti e formati in ambienti diversi, ci mostreranno un nuovo modo di fare missione, sulla scia del Concilio Vaticano II. Lì c’erano i Padri Conciliari da ogni angolo della terra, segno luminoso dell’universalità della Chiesa. Non sarà più unicamente la missione nord-sud, ma la missione tra le genti. Una missione molto più esigente. Cosa aggiungiamo noi missionari, forse un po’ stanchi, a questo panorama sempre più complesso?