Pensiamoci con calma: Il Crocifisso ci costringe a scegliere
Quel signor Adel Smith, di padre italiano e madre egiziana, convertito all'islam alcuni anni fa, voleva far togliere il Crocifisso dalla scuola di Ofena ed è poi arrivato a gettarlo fuori dal San Salvatore, l'ospedale di L'Aquila. Ora che è passato un po' di tempo e si è sedimentato lo sdegno provocato dalle sue pretese estreme, possiamo e dobbiamo porci qualche domanda.
Domande imbarazzanti
La reazione degli italiani che, quasi all'unisono, si erano alzati a difesa del Crocifisso, esprimeva un profondo e radicato sentimento religioso o era invece la reazione alla provocazione di un convertito musulmano che pretendeva - con poco tatto e nessuna sensibilità - di far piazza pulita delle "nostre" tradizioni? Eravamo davanti a una reazione anti islamica oppure a una reazione religiosa cristiana? In altre parole, esprimeva il rifiuto di un islam arrogante oppure un'autentica fedeltà a Cristo, "fondatore e fondamento" della fede che è alla radice della nostra cultura?
Questi interrogativi possono essere imbarazzanti, ma sono necessari. Perché nel nostro Paese non sono poche le aule scolastiche e gli uffici pubblici in cui la croce è scomparsa da un pezzo, senza che nessuno, purtroppo, ne abbia fatto un problema, oppure dove il Crocifisso è coperto di polvere e di oblio.
Ma quanta polvere!
In qualche caso, la croce è stata tolta dalla contestazione dei sessantottini; in altri casi più frequenti, è scomparsa in occasione della ristrutturazione di locali in cui più nessuno ha provveduto a rimetterla, dimenticandola in un ripostiglio, tra le cose non necessarie. Ma ancora più spesso dobbiamo riconoscere che, dove la croce c'è ancora, è spesso dimenticata, coperta non solo dalla polvere fisica, ma dalla polvere dell'indifferenza, che è ben peggiore. Ed è oscurata dall'incoerenza che ci fa vivere davanti ad essa "come se Dio non esistesse".
Viene allora da pensare che forse è meglio che la croce produca la discussione e perfino il rifiuto di qualcuno che la condanna a scomparire. Così almeno si può dire che essa è sentita come qualcosa che ci costringe a prendere posizione. In molti casi invece, ci sia o no, la croce sembra non fare la differenza, fino al giorno in cui un musulmano - straniero o italiano - viene a contestarne la presenza. Allora, apriti, o cielo!
Scaldarsi… davvero
Anche persone di dichiarata fede agnostica si scaldano per difendere la nostracultura, la nostra storia, la nostra tradizione. Allora ci si ricorda che "per noi italiani non è possibile non dirci cristiani"! Quando la religione diventa cultura allora essa corre il rischio di coesistere con la richiesta del divorzio facile e veloce, con la pratica dell'aborto e dell'eutanasia e con ogni situazione di evidente ingiustizia perpetrata contro i più deboli.
A giudicare dalla reazione alla provocazione della scuola di Ofena, si potrebbe credere che l'Italia sia un paese profondamente cristiano. Questo mi diceva un giovane africano qualche settimana dopo la sentenza del giudice abruzzese. Ma lo è davvero? Una cosa è certa: i nostri vescovi non cessano di ricordare che la nostra popolazione deve essere nuovamente evangelizzata, che il messaggio della croce, il primo annunzio cioè, deve essere ancora portato a tanti nostri concittadini.
La croce dentro di noi
La croce non è quella che esponiamo sui muri, ma quella che portiamo dentro di noi. Davanti alla "Parola della croce" dobbiamo decidere da che parte ci mettiamo: se da quella del Signore che muore per i suoi fratelli, o da quella dei potenti che li crocifiggono, che chiudono le porte al Signore che bussa e chiede alloggio sotto le spoglie di un forestiero. Finché permetteremo che certe persone o certi gruppi ridicolizzino i poveri come dei Bingo-Bongo, mezzi selvaggi e mezzi ingenui, che chiedono incautamente di partecipare alla nostra tavola, forse sarà meglio che il crocifisso non venga esposto, perché non debba vergognarsi di noi.
Noi missionari non possiamo tacere queste cose, anche se in questo modo facciamo la figura di coloro che disturbano e rompono la pace dei cosiddetti benpensanti di casa nostra. Paolo affermava che si vantava della croce del Signore Gesù Cristo, non perché l'aveva appesa nelle sue comunità, ma perché la portava dentro di sé e da essa era stato convertito.
E noi?