Passato e presente insieme, Un Natale congolese
Anche in Africa la festa del Natale è molto sentita. È la festa della vita. La filosofia bantù fa della vita il centro del pensare e dell'agire. La nascita di un bambino è salutata sempre come un grande avvenimento, a cui partecipa tutta la comunità. Ecco come ho vissuto l'ultimo Natale africano, prima di venire in Italia ad assistere l'anziana madre.
Era piovuto molto. Le strade erano piene di fango. Da due ore la pioggia ci aveva lasciato e il cielo era terso. Dal campanile i ritocchi delle campane a festa annunziavano che tutto era pronto per rivivere oggi quell'avvenimento che ha cambiato il volto della storia e dell'uomo, duemila anni fa.
I tre suoni del corno
Il pavimento della chiesa, lavato al mattino da un gruppo di donne, è già pieno di fango, portato dai piedi di tanti fedeli che affollano in silenzio ogni suo angolo. Devo stare attento a non scivolare e trovarmi per terra. Ci sono tantissimi giovani. I custodi dell'ordine sorvegliano, affinché nessuno abbia problemi.
I bambini sono al centro: Natale, si sa, è la loro festa. Guidati dalle catechiste e dalla suore, danno vita a una sacra rappresentazione.
Ci propongono il loro Natale con un messaggio chiaro: "Gesù-Dio viene tra noi per aiutarci a cambiare e a essere liberi".
Verso le 20 inizia la celebrazione liturgica del Natale. Tutto è pronto. I danzatori, le donne, i doni, gli annunciatori, i corni, i tamburi... Quest'anno abbiamo scelto i segni della tribù dei "bashi", usati per la nascita del figlio del re, l'erede del "mwami", annunciata in vari dialetti, fino a sfociare nel canto degli angeli di Betlemme, il Gloria. I gesti della cultura locale rendono più accogliente il messaggio della nascita di Gesù, Figlio di Dio.
Sul sagrato della chiesa "Mater Dei" c'è grande silenzio al primo suono del corno e ai primi battiti del tamburo regale. Dopo qualche attimo, ecco il secondo suono del corno, ancora più potente e prolungato. Rispondono i tamburi e le grida di gioia delle donne, vestite a festa, portando i cesti sulla testa o sulle spalle. In chiesa la gente rimane in silenzio e ascolta l'annuncio della "buona notizia" . È la voce del re che in diverse lingue annunzia la nascita del suo erede, accolta da un'ovazione di gioia. Gli occhi della gente sono pieni di lacrime: quello che stanno vivendo tocca il loro cuore.
Il corno suona per la terza volta. Sento anch'io un fremito per tutto il corpo. È un suono pieno di gioia, con un messaggio di speranza. I tamburi si scatenano e i danzatori entrano in chiesa, abbigliati nelle loro vesti tradizionali e con le lance in mano. Le donne seguono con i loro canestri pieni di doni: riso, manioca, fagioli, frutta..., mentre gli uomini portano taniche di birra. Alcuni bambini spingono i capretti. E infine, una giovane coppia con il loro primogenito, che dorme nelle braccia della mamma. Chiudono il grande corteo i ministranti e i sacerdoti.
La chiesa piena di gioia
La festa comincia: è il nostro Natale; è il nostro Mwami che viene tra noi. Davanti all'altare la gioia esplode. Il presepe s'illumina. I tamburi fanno posto alle chitarre e alla pianola elettrica, e il coro, sventolando un fazzoletto bianco, inizia il canto degli angeli di Betlemme: "Gloria a Dio...".
Non posso dimenticare: la chiesa piena di gioia, la marea di gente che sventola il fazzoletto bianco e danza la gioia e la speranza. Tra le tradizioni e i segni del nostro passato abbiamo cercato di esprimere il nostro presente, pieno di paure e di incertezze: "Vi annuncio una grande gioia. Oggi è nato il Salvatore!".
Il giorno di Natale, sul diario della missione ho scritto: "Grazie Signore, perché hai dato ai tuoi fedeli la prova del tuo amore e il motivo per sperare ancora di più".