L’impresa è davvero bella! Quando spegneremo le luci?
Padre Daniele Sarzi Sartori, di Montanara (MN), ci ha inviato questa bella riflessione sul Natale in Giappone.
È un Natale speciale in questa terra giapponese, che è per me come la culla e le fasce che avvolgono Gesù. Tanto stupore e tremore, e le braccia aperte. Cerco di vedere Gesù, come Zaccheo dal sicomoro bonsai, che mi invita a farmi piccolo, a ridurre la vita senza ridimensionarla, ma dilatandola dall'interno, e tornare così alla culla dei miei natali nella fede in Gesù.
Resta forse questa la parte più bella della nostra vita nella fede, ancora tutta da scoprire, da fiorire, da amare. Mi sento lì, in quelle fasce, e talvolta non ho che il gemito del bambino Gesù che piange e sorride.
Un'ombra salutare
A un primo sguardo, il Natale appare familiare anche qui in Giappone, dove i cristiani sono una minoranza assoluta... Insegne natalizie, slitte e renne, campane e strenne... Come in occidente, uno scintillio senza fine di luci impedisce la vista del cielo e rende invisibili le stelle, mentre lo sguardo è attratto sempre più a terra.
Il Natale è una festa a cui tutti sono invitati, ma di Lui - il Festeggiato - non c'è ombra né luce. Tante volte mi chiedono se anche i cristiani festeggiano il Natale! Segno che quelle luci svuotano il Natale della sua anima e offrono, in cambio, una bella scatola regalo ben decorata e confezionata, ma vuota. Ma è anche il segno ben più grave di come noi stessi non vegliamo con tutto il cuore e con tutta la vita, ma sonnecchiamo. L'ombra raggiunge anche noi come un vagabondo, pensando che non lasci tracce, che non faccia male, ma non è il bene.
Eppure la gloria del Verbo sorge in oriente e guizza ovunque... proprio per noi! Per noi vuole il tutto nuovo, l'impossibile... Se solo spegnessimo per un attimo tutte le luci, anzi, se le strappassimo provocando un corto circuito, che rigetti nel mondo un'ombra salutare!
Gesù non è un ornamento
Serve una notte che separi davvero la luce dalle tenebre; una notte in cui, come i pastori, incamminarci verso Betlemme per una via nascosta e buia - la via maestra - e custodire il silenzio, sentendoci anche bruciare dal freddo... Serve una notte in cui lasciarci alle spalle le opacità e le caligini; oppure guardarle in faccia per scorgere le fessure che aprono i cieli e fanno vedere l'orizzonte.
Serve una notte che sollevi i nostri occhi e li fissi lassù, dove sono scritti i nostri nomi; una notte che ci liberi da ogni forma di amore astratto, per credere all'umile e crocifisso Amore per questa terra, per i fratelli e le sorelle, per chi ci sta accanto. Serve una notte che ci restituisca un'infanzia perduta, una vita nuova; una notte in cui la luce rifulga davvero e ci doni il brivido di un nuovo giorno.
Serve una nuova chiesa in cui il Gesù della mangiatoia non sia più solo quello di gesso; non più un Cristo innocuo che non disturba, un Cristo ornamentale, ma una pietra viva, un segno per dimostrare che almeno noi siamo ancora in attesa.
Notte santa, giorni santi
L'impresa è bella! L'impresa di spaccare la dura crosta delle diffidenze e dei dubbi, dei pregiudizi e delle stanchezze, e richiamare i motivi eterni delle beatitudini evangeliche. Nella notte dobbiamo ascoltare il silenzio, la desolazione dei campi, i lamenti dei poveri, le speranze dei dispersi, le lacrime di gioia del nostro cuore per diventare noi stessi un gemito.
Serve una notte santa, servono giorni santi, capaci di dire che ancora tutto è possibile, che l'amore del Signore ci salva e viene a cercarci, turbando il nostro cuore di sogni, come a Giuseppe. Poi come lui, ridestati dal sonno, rinasceremo alla Parola di Colui che ci sussurra: "Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato". Quel lampo che guizza da oriente irrompa in noi!