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P. Antonio Aliprandi, il buon samaritano

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Dopo mons. Frosi, è doveroso ricordare un altro saveriano nativo di San Bassano (CR), p. Antonio Aliprandi. Nato il 25 dicembre 1905, dopo gli studi di ragioneria a Cremona, ospite del Collegio Sfondrati, lavora per qualche anno in un Istituto Bancario. Poi, nonostante l’iniziale contrarietà da parte dei genitori, ottiene da loro il via libera per entrare nell’Istituto Saveriano di Parma. È il 10 dicembre 1927 e il 20 febbraio 1932 riceve l’ordinazione presbiterale.

Il primo incarico è quello di confessore nella Casa del Noviziato di San Pietro in Vincoli (RA), ma il suo sogno era la missione in Cina. Questo diventa realtà l’anno successivo quando s’imbarca per la Cina. È destinato alla diocesi di Loyang, dove impara la lingua. Poi, raggiunge Teng-Feng, sotto la guida di p. Giovanni Morandi. E ad altre destinazioni è inviato in seguito. A dicembre 1936 subisce l’assalto di alcuni briganti che gli portano via sei dollari, l’orologio, lasciandolo percosso e con le mani legate dietro la schiena.
In quegli anni, in Cina c’era una crisi economica molto dura ed era scoppiata la guerra civile tra nazionalisti e comunisti che durò, con alterne vicende, sino al 1949.

Nel 1937 p. Antonio è chiamato a Loyang come vicerettore del seminario e vice-parroco. In quel periodo, esce costantemente ad incontrare tante persone e quindi a realizzare veramente la sua missione. Scrive: “Qui sto ottimamente di salute e sto per giorni interi in giro a trovare cristiani…”. In quei giorni, gli aeroplani giapponesi sganciavano la loro prima bomba nel recinto della missione di Cheng-Chow, sfiorando Cattedrale e residenza vescovile. Le simpatie verso gli italiani, alleati dei tedeschi e dei giapponesi, diminuivano. La terribile guerra cino-giapponese toccava anche la missione di p. Antonio (Loyang), fino ad allora risparmiata da orrori e devastazioni.

La guerra assumeva proporzioni sempre più vaste. La stampa locale dava rilievo a fatti di spionaggio, inventati o costruiti appositamente, avvenuti anche in altre parti della Cina. I missionari venivano sempre pedinati dalla polizia. Così, per non mettere in difficoltà o accusare di spionaggio i fedeli cristiani, si astenevano dal far loro visita. Padre Antonio condivide in pieno questa vita con tutti gli altri, ma ha il privilegio di non partecipare alla vita del campo di concentramento, dove sono mandati tutti i suoi confratelli nel 1942. In quel tempo, infatti, era a Tientsin, come cappellano dell’ospedale cattolico italiano e viveva da lontano le vicende della seconda guerra mondiale.

Con la conclusione della guerra cino-giapponese, inizia l’avanzata a macchia d’olio delle truppe rosse di Mao Tse-Tung. A p. Antonio è permesso gestire un piccolo ospedale da campo, ma rischia la vita più volte come quel giorno in cui un gruppo di soldati comunisti cerca di sistemarsi dentro all’ospedale. La presa di possesso da parte dei comunisti della zona non poteva che sfociare nell’espulsione dei missionari, p. Aliprandi compreso, che avviene tra il la fine del 1950 e gli inizi del 1951.

Padre Antonio, rientrato in Italia, arriva a S. Bassano una sera, quasi improvvisamente, per rivedere finalmente i suoi familiari e compaesani. Non appena si sparge la notizia del suo arrivo, la chiesa si riempie di gente che lo accoglie con una festa spontanea. Chi era presente ricorda ancora la figura minuta di questo eroico missionario che, mentre attraversava la navata centrale, tutti volevano salutare tendendo le mani che lui stringeva calorosamente.

Dal 1951 al 1956 svolge la sua attività fra Piacenza e Parma. Inizia un giro nelle comunità italiane, fino al rientro in Casa Madre nel 1978 per motivi di salute. Ovunque, p. Antonio viene ricordato ancora oggi per le sue grandi doti di umiltà e di amore verso gli ammalati. Continuava così la sua missione di “buon samaritano” che aveva ispirato tutta la sua vita. Il ricordo è quello di una persona piena di bontà, gentilezza ed umanità, pronto in ogni momento ad ascoltare i problemi e a suggerire modi e preghiere per risolverli. Era comunque una di quelle persone a cui piaceva fare, lavorare, darsi agli altri e non parlava mai di sé, né amava sentir parlare di sé.
A San Bassano si fermava nella casa di famiglia, dove era amorevolmente ospitato dalla sorella Speranza, dal fratello Martire con sua moglie Luigia e dai nipoti Franco, Maria Teresa, Amedea e Gianantonio.
P. Antonio è morto a Parma il 4 luglio 1988 ed è sepolto nella cappella di famiglia di San Bassano.

Negli ultimi anni della sua vita, anche se molto sofferente, il suo volto era sempre sorridente ed esprimeva una gioia interiore contagiosa. I suoi atteggiamenti con la gente di San Bassano erano sempre positivi. Essendo lo zio paterno di mia moglie, ho avuto più d’una occasione per sperimentarlo quando l’accompagnavo per le vie del paese. Amici e conoscenti gli correvano incontro, lo abbracciavano, ricordandogli i bei tempi della gioventù passati insieme. E lui ricambiava il tutto con la dolcezza ed il sorriso. Padre Antonio è stato un vero missionario di Gesù e chi lo ha conosciuto, lo ricorda con affetto e lo prega come un santo.



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