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Nostalgia, fra memoria e attesa: Vicenza, dopo 50 anni di sacerdozio

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Una dolcezza autunnale avvolgeva quel tardo pomeriggio, mentre per la prima volta varcavo la soglia austera di viale Trento 140 (Vicenza). Era il 20 settembre 1945.

Mi ero alzato di buon mattino. Papà era al lavoro nel negozio, nonna mi attendeva in cucina: il sorriso che aveva illuminato la mia infanzia appariva come offuscato da una nebbia leggera. Mamma e io giungemmo a Monte Berico per il saluto alla nostra Madonna e poi entrammo nella grande casa dei saveriani.

Per me era l'inizio di una vita nuova, in una nuova famiglia.

2008 11 Lanaro1Quel primo giorno...

Ad accogliermi in un ambiente sconosciuto c'erano personaggi dai nomi strani: prefetto, viceprefetto, rettore. Sui banchi scolastici sedevano tanti ragazzi come me, giunti da località diverse. Subito siamo diventati gli "apostolini". Ci insegnarono a chiamarci con il massimo rispetto: con il cognome e alla terza persona; abolito il "voi" fascista ed escluso il "tu" confidenziale.

Imparai, con una certa difficoltà, a scoprire luoghi e ore (tante!) in cui il silenzio era di rigore. La cena era ben diversa da quella succulenta della nonna. Venne il momento di andare a letto: uno stanzone, con due lunghe file di letti. Era proibito scambiare due parole con il compagno più vicino, mentre io a casa non mi addormentavo senza le rituali chiacchiere con i fratellini.

Però ero felice: iniziava la lunga strada verso i paesi lontani che da tanto sognavo! "Varcare i mari, salvare un'anima... e poi morire". I versi di Teofano Vénard mi cullavano nella notte. E mi accompagnarono a lungo, fino al mattino luminoso della prima Messa. Cinquant'anni fa!

Una scuola di vita

Tornare oggi in viale Trento non è facile; troppe cose sono mutate. La grande casa di un tempo, nota come "santa Croce",  ha cambiato nome: ora è l'istituto "Baronio", una realtà ben diversa da quella di un tempo. Scomparse le file di "apostolini" davanti alle aule scolastiche; muta la campanella che scandiva i vari momenti della giornata.

Rimane la nostalgia e la gratitudine di una stagione lontana, quando il desiderio della missione lentamente divenne vocazione e scelta cosciente. Si stemperano nella nebbia autunnale anche certi ricordi di metodi pedagogici duri, che oggi non si usano più: tutto quel silenzio, quell'orario spezzettato, i castighi che fioccavano a ogni mancanza...

Eppure mi rendo conto che in questi 40 anni d'Africa quella disciplina eccessiva e quel rigore non sono stati inutili. Mi hanno sostenuto quando bisognava stringere i denti e proseguire, quando la voglia di vivere sembrava scomparsa e serpeggiava il desiderio di lasciar cadere tutto. Tornava allora il desiderio di ritrovare attorno a me gli indimenticabili volti della mia infanzia, il sorriso di nonna Maria che sapeva consolare ogni tristezza.

Con la speranza di Dio

Saluto con affetto la casa saveriana di viale Trento, alla vigilia dell'ennesimo ritorno in Africa che è diventata la mia terra. In Congo oggi ci sono folle terrorizzate che fuggono, soldati sbandati divenuti predatori voraci, e mamme in pianto. Sono i figli di Dio alle prese con un'esistenza da sempre incerta, minacciata dalla disperazione: sono i fratelli poveri da sostenere e consolare.

Signore, nel mio vaso di argilla deponi l'oro della tua speranza; fa che la mia voce riesca ad articolare le tue parole che creano la vita.

Custodisci in me il desiderio di servirti, come in quei tempi lontani, quando facevi sentire la tua presenza nella vecchia scuola apostolica, davanti al canale in cui si specchia la torretta, che allora bastava a farci sognare.

Accogli nella tua pace quei ragazzi di un tempo, i miei compagni di cordata, divenuti con me preti per sempre 50 anni fa, e già approdati nel tuo porto.

Ci ritroveremo tutti insieme, con te e con i tuoi amici.



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