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Vivere con serietà, E vincere la tentazione della futilità…

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Le vacanze sono passate e torna il tempo ordinario del lavoro e dell'impegno. Settembre ci richiama alla serietà del nostro lavoro. Abbiamo certamente bisogno di vacanze per interrompere il ritmo, per occuparci di noi stessi e delle cose più importanti, per dare più tempo a Dio. Il tempo che ci è dato è tempo per costruire: è prezioso.

Seriamente, non seriosamente

Mons. Guido Conforti, che a breve sarà dichiarato "santo", quindi proposto come modello per noi, diceva che il tempo "è prezioso quanto è preziosa la grazia, quanto è prezioso il paradiso e quanto è prezioso Dio". Il tempo deve essere impegnato seriamente, non "seriosamente", perché è un diritto anche quello di vivere serenamente nel nostro lavoro e poter, periodicamente, riposare.

Gli antichi dicevano: Semel in anno licet insanire - una volta all'anno è lecito comportarsi da matti. Forse per questo una tradizione millenaria offre annualmente un periodo diverso dagli altri: il carnevale, in cui possiamo rompere la routine quotidiana. Ma oggi il carnevale ha subito un'abnorme dilatazione e siamo caduti in una forma di evasione permanente, che è vacuità e futilità.

La moda di dire sciocchezze

Ormai per essere alla moda, si deve ridere di tutto, raccontare barzellette, sganasciarsi in maniera isterica, dire sciocchezze e spettegolare sulla vita privata dei cosiddetti divi o vip...; essere, in una parola, superficiali e frivoli. Probabilmente questa specie di  mania collettiva viene dalla televisione; soprattutto, ma non solo, da quella commerciale e dai social network, dove si fa a gara a chi è più leggero; dove si parla solo di feste, di musica, di sport, di gossip; dove si esagera nell'esternare i propri stati d'animo; dove abbondano gli esclamativi e si dimenticano, ahimè, le buone maniere...

E non ci si accorge di regredire verso uno stadio infantile e di smarrire le barriere della morale oltre che del buon gusto. Questa infezione collettiva di vacuità, viene con ogni probabilità da alcuni agenti patogeni che si chiamano benessere, insoddisfazione, voglia di evasione.

Paura delle cose serie...

Popoli più giovani dei nostri e genti più intraprendenti e serie, che non hanno tempo di ridere, perché occupati in problemi che spesso riguardano la loro stessa sopravvivenza, premono ai nostri confini: il futuro è loro, non nostro; anche se questo ci fa paura!.

Sarebbe sbagliato generalizzare e altrettanto sterile atteggiarsi a giudici inflessibili di questi comportamenti, senza rendersi conto della realtà più profonda nascosta dall'apparenza. Probabilmente la voglia di evadere deriva anche dalla paura di dover entrare in discorsi legati a questioni serie, come il lavoro, la formazione culturale, la precarietà, il futuro del nostro mondo; oppure legati ad ambiti sociali ed esistenziali decisivi per la nostra esistenza, che vanno dalla politica fino alla fede, argomento tabù per antonomasia.

Molti adolescenti, che si allontanano dalla religione proprio nell'età in cui diventano autonomi, incappano nel vuoto e nella superficialità del nostro mondo adulto, dovuto alla mancanza di riferimenti alti e al tramonto di un forte orizzonte di valori - religiosi o laici che siano - e vi si adeguano in fretta.

Segnali nuovi e positivi

Grazie a Dio, intravediamo anche segni nuovi: giovani impegnati nel sociale, nel volontariato, nello sviluppo dei popoli più deboli; giovani che rivendicano la libertà e la crescita dei loro paesi (come in nord Africa); giovani "indignati" per la loro condizione precaria (come in Spagna); giovani che ritrovano il gusto della fede (la giornata mondiale della gioventù).

Speriamo, certo, che tutto non si esaurisca in un momento di ritrovo di massa. Ma è incoraggiante vedere giovani che finalmente parlano di cose concrete e serie, che cercano una via d'uscita al modo di vita imposto dalle sbornie liberiste degli anni ‘90, che perseguono un rinnovamento capace di risvegliare la passione per il futuro e per le realtà invisibili: "quelle vere", direbbe san Paolo.

Tutto ciò potrà aiutare a recuperare in modo positivo la mentalità dei nostri padri, che sapevano quanto il benessere non fosse un dato acquisito una volta per sempre. E per questo si rimboccavano le maniche lavorando e facendo studiare i figli, perché avevano sperimentato quanto la vita fosse dura e dolorosa, ma che forse, proprio per questo, l'amavano anche più di noi.



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