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Non chiamatela nostalgia: Passeggiando, riflettendo tra i monti

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Un giovedì d'estate, come tanti altri, parto per andare in mezzo alla natura. Sono le sei e mezzo del mattino e comincio a salire verso le colline attorno al mio paese, Plello di Borgosesia, in provincia di Vercelli, dove ho trascorso qualche giorno di riposo estivo. All'inizio è faticoso, avendo perso l'abitudine. Poi, pian piano passando in mezzo al bosco, tutto diventa più semplice.

Le vecchie mulattiere lasciano vedere i ciottoli calpestati da tante persone prima di me, che utilizzavano quel sentiero per andare a lavorare. Ora non si sente più niente, tranne qualche canto di uccello che si sta sgranchendo le penne per iniziare a volare nel cielo. Ma basta un po' di attenzione e si possono ancora sentire le voci e i profumi di un tempo.

Sappiamo ancora ascoltare?

Provo a immaginarmi le donne con le gerle, che portavano a casa il fieno o i prodotti della terra, gli uomini che andavano a lavorare per tagliare la legna o i bambini che andavano a scuola in città. Ora rimangono le chiesette, testimoni di questi passaggi.

Non tutti i sentieri sono stati ripuliti. Si fa un po' fatica a passare, a causa delle piante cadute per l'ultimo temporale. Ma c'è qualcosa che parla ancora, quando passo sui ponticelli di pietra e mi fermo ad ascoltare le cascatelle d'acqua che scendono dall'alto. Verrebbe voglia di fermarsi, di bere a garganella e di interrogare quell'acqua per farsi raccontare le storie di tanti anni fa.

Forse non sappiamo più ascoltare; forse non conosciamo più quella lingua, dimenticata dal tempo che passa. È un peccato. Là ci sono le nostre radici, le nostre origini. Da lì siamo nati, da lì abbiamo preso la forza per crescere, per andare in giro per il mondo. Non possiamo dimenticare. È come morire un po' per volta.

Non tradire l'eredità preziosa

Quando poi incontro una cappella con le scritte in francese, allora mi viene da riflettere su chi ha pensato di costruirla. E mi vengono in mente persone che hanno lasciato la loro terra, da giovani, per andare a cercare lavoro all'estero. E mi viene spontaneo pensare a quelli che oggi faticano ad accettare chi è diverso, lo straniero, che viene da noi in cerca di fortuna.

I nostri antenati sono andati a soffrire e a gioire in tanti paesi e ci hanno lasciato un'eredità di apertura al mondo. E noi come la stiamo utilizzando? Sentendo diversi discorsi in questi ultimi anni, viene solo da pensare che la loro è stata fatica sprecata, che i loro pronipoti hanno dimenticato tutto, presi come sono dall'interesse immediato.

I grandi valori di allora

La strada continua in mezzo al verde. Qualche casa in rovina ricorda chi l'ha costruita e ora non c'è più. Un'altra cappella e una croce ci ricordano ancora che per loro - la nostra gente! - era importante mettere Dio nella propria vita. Era una cosa normale.

E quando si incontravano, salendo e scendendo verso il paese più grande, si salutavano con il saluto tipico della valle: "Legru! Allegro!". Cioè sta' contento, fatti coraggio, non sei solo. Siamo in tanti e insieme ce la faremo a uscire dalle difficoltà. La solidarietà concreta, vissuta nella fatica di ogni giorno, diventava gioia semplice e profonda nei momenti di festa, in cui ognuno portava qualcosa per rendere felice la comunità.

Qualcuno potrebbe dire che è nostalgia di un tempo passato e che non torna più. Non credo proprio.

I valori importanti non sono spariti, sono incisi nel nostro dna, nella nostra vita. Anche se non ci pensiamo, anche se non ce ne accorgiamo, essi sono ancora presenti in noi. Basta una passeggiata sulle antiche strade e subito tornano a galla.

Non ci vuole molto: basta un pizzico di attenzione e tutto, se lo vogliamo, può cambiare. Ne sono sicuro.



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