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Missionario in esilio e in patria

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Dopo trent'anni di servizio missionario in Amazzonia mi è stato chiesto di tornare in Italia, per svolgere la mia attività in "patria". È difficile descrivere cosa prova un missionario nel lasciare la "patria adottiva" per tornare a quella di origine.

Per non finire nella ragnatela

Aspetto da voi qualche suggerimento per non fare troppi danni durante questo rientro inaspettato. L'Italia di oggi, infatti, è molto diversa da quella lasciata nel 1975 e nel 1985, quando sono partito la prima e la seconda volta. Dico prima e seconda partenza perché per cinque anni sono rimasto "in esilio", come allora dicevo. In quell'intervallo ho conosciuto molti, che ancora oggi ritengo amici e amiche, a Parma, Piacenza e in tutt'Italia.

Se c'è una cosa che mi pare di aver appreso nelle numerose giornate "formative" alle quali ho dedicato gran parte del mio tempo di missione, è stato il famoso metodo del vedere - giudicare - agire, adottato anche nella 5ª conferenza ecclesiale latino-americana di Aparecida nel 2007.

Spero quindi di non perdermi nella ragnatela del mondo italiano, mettendomi umilmente in ascolto della realtà, così come ho fatto in Amazzonia, lasciandomi illuminare dalla Parola di Dio e mettendo in atto almeno qualche gesto significativo a servizio del regno di Dio e della sua giustizia. Credo infatti che anche la realtà italiana, come quella amazzonica, abbia estremo bisogno di giustizia e di serenità.

La mano di Dio sulla "careca" 

In questi giorni, sono andato a rileggere un testo delle Costituzioni saveriane che mi sta, poco a poco, dando la pace del cuore, necessaria in questo momento della mia vita. "L'obbedienza che professiamo richiede disponibilità ad accettare ogni ufficio e occupazione, ad andare in questa o in quella missione, a rimanere presso le case dell'istituto per prestarvi l'opera nostra, come a recarci a lavorare nel campo evangelico che ci venisse assegnato..." (n. 33).

Sono parole del nostro fondatore, il beato Guido Conforti, presenti nel suo testamento spirituale. Il maestro di noviziato p. Giovanni Gazza ce le ha fatte imparare a memoria nel 1965. Parole che io stesso ho commentato non so quante volte con gli studenti saveriani brasiliani che sono stati affidati alla mia... "irresponsabilità" negli ultimi dieci anni. Dunque, elegantemente, è giunto il momento di metterle in pratica, nel mio 63º anno di vita.

Cari amici, ricordatevi di me nel nuovo anno, raccomandandomi al Signore, perché tenga la sua mano sulla mia "careca", come qua si chiama la testa di un calvo! Ho detto "calvo" non "cavolo"!

Grazie infinite e buon 2010 anche a voi!



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