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Missionari in Giappone: perché?

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In autunno è stato nostro "ospite" p. Franco Sottocornola, l'ultimo nella lista dei festeggiati per i 50 anni di sacerdozio. Ne abbiamo approfittato per conoscere qualcosa di più sulla presenza dei saveriani in Giappone.

Sono un saveriano... bergamasco: sono nato nel 1935 a Bergamo, in Borgo Palazzo; ma poi la mia famiglia si spostò in Borgo Santa Caterina. Dal 1978 vivo in Giappone, insieme ad altri saveriani bergamaschi: p. Giuseppe Piatti, lui pure di Santa Caterina; mio fratello p. Antonio (che avendo preso la cittadinanza giapponese ora si chiama "Azuma Ken"); p. Piergiorgio Moioli di Nembro (anche lui cittadino giapponese con il nome "Moyori Ganryu"); p. Fedele Ceruti di Bariano; p. Silvano Da Roit di Presezzo. Dei trentatre saveriani che lavorano in Giappone, dunque, sei sono di Bergamo. Un buon contributo!

Non di solo pane vive l'uomo...

Nel breve periodo di "vacanza" in Italia, parlando del mio lavoro missionario con le persone che incontro, sento spesso affiorare in loro alcune domande: "Cosa fa un missionario in Giappone? Non è un Paese all'avanguardia nell'economia mondiale?...". Dietro a queste domande si legge l'idea - non sbagliata ma neppure precisa - che il missionario va nei Paesi poveri per alleviare la sofferenza, affrontare i problemi della fame, combattere la povertà, rimediare a situazioni di ingiustizia sociale... Tutto ciò è vero: il missionario, continuando la missione di Gesù, è chiamato a fare anche questo e spesso deve cominciare da qui la sua testimonianza per essere credibile e autentico. Ma, nello stesso tempo, è un'idea inesatta, perché il missionario, proprio come continuatore della missione di Gesù nel mondo, deve fare qualcosa di più. Infatti "non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che viene da Dio" (Mt 4,4).

Un'altra acqua, un altro pane

Vengono subito alla mente due episodi del vangelo. Il primo è quello della samaritana che viene al pozzo a cercare acqua: l'acqua che disseta per un po' di tempo finché torna la sete... Lì trova Gesù che le parla di un'altra acqua: un'acqua "viva" che diventerà in chi la beve "una sorgente che sgorga per l'eternità" (Gv 4,10).

L'altro episodio è quello delle folle che seguono Gesù e addirittura pensano di acclamarlo re, perché ha moltiplicato il pane e i pesci e ha sfamato una folla di cinquemila uomini. Ma Gesù comincia a parlare loro di un altro pane, che è lui stesso e che non sfama solo per un breve momento, ma "dà la vita eterna", perché "chi mangia di questo pane vivrà in eterno!" (Gv 6, 26-35). 

È per donare questa vita, una vita da "figli di Dio", che Gesù è venuto in questo mondo. Ed è questa vita che egli vuole donare all'umanità intera attraverso i suoi discepoli, attraverso la chiesa, attraverso i missionari.

Il vero compito del missionario

Il Giappone ha 128 milioni di abitanti, ma i cristiani sono solo un milione. In pochi hanno conosciuto Cristo e hanno trovato in lui "l'acqua che zampilla per la vita eterna, il pane che dà la vita al mondo". Il Giappone, quindi, ha bisogno di missionari, di annunciatori della "bella notizia" che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. In un certo senso, in Giappone il missionario viene richiamato al suo compito specifico: portare "l'acqua viva", donare "il pane della vita eterna".

In Giappone, la missione della chiesa è riportata al suo scopo originario e insostituibile: essere "sale della terra" e "luce del mondo" (Mt 5, 13-14) con la predicazione del vangelo e la testimonianza profetica. Questa infatti è la via tracciata da Dio per la salvezza dell'umanità, la via che può condurre l'umanità a diventare, fin d'ora, la "famiglia di Dio" qui in terra, nella giustizia e nella pace, anticipando quella vita d'amore e di gioia alla quale è chiamata e per la quale è stata creata.

Ecco perché ci vogliono missionari anche in Giappone, come nel mondo intero!



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