Ma che razza di Preti? - Quando il "don" è straniero
Don Luis Felipe Gil Ganãveral è un sacerdote colombiano di 50 anni. In Italia c’era già stato dal 1988 al 1990, per perfezionare gli studi teologici. Rientrato in patria, il suo impegno tra i poveri e gli emarginati dell’arcidiocesi di Santa Fe de Antioquia gli valse la crescente ostilità dei militari. "Il mio vescovo decise allora di mandarmi in Italia. Era il 1991", spiega. Don Luis Felipe è oggi parroco ad Aprilia, provincia di Latina, diocesi di Albano.
Don Giorgio Miclaus è invece originario della Romania. Ha 38 anni: è stato ordinato sacerdote nel 1989, pochi mesi prima che il dittatore Nicolae Ceausescu venisse deposto e fucilato. In Italia è arrivato cinque anni fa per studiare Teologia morale all’Urbaniana di Roma. Ora lavora a Torino. Segue i connazionali, sempre più numerosi in città.
Due storie, due esempi tra i tanti possibili.
Cresce il numero dei sacerdoti stranieri che vivono e operano nel nostro Paese. È l’aspetto meno noto del fenomeno immigrazione.
"Da secoli mandiamo missionari in giro per il mondo, ora accade il contrario. Ci stiamo aprendo – non senza difficoltà – a una nuova evangelizzazione che ha per protagonisti sacerdoti che vengono da lontano. I preti stranieri in Italia sono circa 1.700, metà dei quali attivamente impegnanti in campo pastorale", dice don Sergio Bertozzi, direttore del Centro unitario per la cooperazione missionaria tra le Chiese (Cum) che ha sede a Verona.
"Tra le aree di provenienza si affermano l’Europa dell’Est, Polonia soprattutto, l’Africa nera (Nigeria, Congo, Ruanda, Burundi, Kenya) e il Sud America. Ma c’è chi arriva dalle Filippine o dall’India", prosegue don Bertozzi. "La stragrande maggioranza viene per studiare in qualche università pontificia. Nel tempo libero si rimboccano le maniche in parrocchia. L’impegno può diventare più organico con il passar del tempo. Molti, comunque, trascorso un certo periodo, tornano in patria. È giusto: così non si depauperano le Chiese d’origine".
La maggior parte dei sacerdoti stranieri impegnati nelle nostre comunità opera nelle diocesi del Lazio e della Toscana. Presenze consistenti sono segnalate in Abruzzo, Puglia, Emilia Romagna, Umbria. "Ma adesso fanno diventare preti anche i neri?". Padre Gregorio Cibwabwa, 40 anni, agostiniano scalzo, congolese, ricorda con un sorriso l’anziano signore ammalato che gli fece questa domanda quando lo visitò la prima volta. "Sono il suo nuovo viceparroco, gli risposi". P. Cibwabwa opera ad Acquaviva Picena, nella diocesi di San Benedetto del Tronto: "Mi trovo bene. Le difficoltà maggiori che ho dovuto superare sono state il clima e la lingua". Con lui concorda un altro sacerdote congolese, don Raymond Samuangala Nkindji, 42 anni, impegnato nella diocesi di San Marino-Montefeltro.
"La differenza di culture non è stata un ostacolo insormontabile, anzi si è rivelata una ricchezza reciproca", osserva dal canto suo padre Dominick Falcao, 32 anni, indiano, amministratore della parrocchia ad Aprilia.
"Solitamente, forti delle esperienze positive che hanno nei loro Paesi, i preti stranieri valorizzano di più e meglio il laicato, sono molto attenti alle singole persone e aiutano a riscoprire la religiosità popolare", riflette don Bertozzi.