La vita è seguire Cristo, Mi presento ai lettori e agli amici
Jambo kwa wote è il saluto in swahili, la lingua parlata in Congo, da dove sono rientrato all'inizio di agosto. Mi presento: sono p. Stefano Della Pietra, di origine friulana. La mia famiglia abita vicino a Udine. Ho incontrato i saveriani quando ero ancora ragazzino e mi sono lasciato attrarre dal loro carisma missionario, fino a decidere di entrare definitivamente nell'istituto fondato dal beato Guido Conforti, vescovo di Parma.
Voler stare e dover fuggire...
Già prima dell'ordinazione sacerdotale ho vissuto un'esperienza in Zaire - così si chiamava allora la repubblica democratica del Congo. Ma non mi è stato possibile completarla, perché la guerra - la "prima guerra di liberazione" del 1996 - ha coinvolto anche le nostre missioni, costringendoci a scappare e a rientrare in Italia dopo un viaggio avventuroso.
In quella breve esperienza, ho scoperto l'importanza dello "stare con" la gente. È stata fondamentale per me la possibilità di accompagnare un confratello in un "safari": un itinerario di 20 giorni in visita alle comunità cristiane sparse sul territorio. È stata un'esperienza "forte", in cui abbiamo privilegiato il contatto umano nel carattere semplice e accogliente della gente. Abbiamo mangiato con loro e dormito nelle loro case.
Rientrato in Italia, ho concluso gli studi di teologia e, finalmente, sono stato ordinato sacerdote il 13 settembre 1998. La mia gioia è stata "completa" quando ho avuto la conferma di poter partire subito per la missione.
I traumi della guerra
Così, all'inizio del 1999, sono tornato in Congo e nel maggio dello stesso anno sono arrivato nella grande missione di Luvungi, come assistente pastorale. Anche qui ci sono stati dei momenti duri, vissuti con grande tensione. Siamo stati testimoni del saccheggio della missione di Luvungi, commesso dall'esercito, e di tutta la violenza di cui sono stati vittime i villaggi vicini, compresi quelli nella nostra zona missionaria.
Il trauma della guerra mi ha insegnato che la vita missionaria va costruita sulla fatica e sulla sofferenza di ogni giorno. In particolare, bisogna contare sulla "solidarietà della presenza", una virtù capace di sostenere la speranza della gente, la cui sofferenza supera sempre la nostra.
Con i giovani del Congo
Il mio impegno pastorale si è subito indirizzato ai giovani e ai ragazzi. È stata un'occasione per comprendere meglio il loro modo di vivere e di pensare, per accogliere i loro valori e "dimenticare" la nostra cultura con i suoi pregiudizi.
Ho imparato a conoscerli e ad amarli così come sono, con le loro contraddizioni, con le loro paure (guerra, saccheggi, malattie), con le loro gioie (la nascita di un bimbo, il matrimonio), con le loro feste piene di canti e danze, con la loro semplicità, con quel loro sorriso sulle labbra, che disarma e rasserena. E questo i giovani lo hanno capito.
Ora sono qui con voi
Ma è arrivato il giorno della partenza. Rientrato in Italia nell'agosto scorso, sono stato chiamato a fare un servizio di animazione missionaria proprio a Salerno. Ecco perché sono qui, tra voi.
Tutta la nostra vita ha senso nel seguire il Cristo, lavorando dove la Provvidenza ci pone. Prima mi ha fatto incontrare i saveriani; poi mi ha portato in missione a Luvungi; oggi mi ha fatto arrivare a Salerno.
Mi auguro - e ci auguriamo tutti - di essere sempre e dovunque un "segno" della sua presenza. Insieme possiamo essere i suoi testimoni.