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La spiritualità finita in letargo

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Mi ha stupito molto la lettura de “Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia” (Rubbettino Editore, 2021), scritto a più mani dai membri dell’associazione “Essere qui”. Sono un gruppo di studiosi, uomini e donne cattolici, coordinati dal sociologo Giuseppe De Rita, convinti che il pensiero cristiano abbia ancora molto da offrire all’Italia, all’Europa e al mondo.

Tra i vari punti toccati, riguardanti la vita della Chiesa in questo tempo difficile, “l’assenza di vita spirituale” ha attirato la mia attenzione. La spiritualità e la devozione occupano quasi gli ultimi posti nell’ambito delle emozioni e meno della metà degli intervistati “vive con poco trasporto la vita interiore”. “Solo il 21,6% sente il desiderio di una vita spirituale, che è all’ultimo posto in un’ipotetica scala dei desideri degli italiani, come se ormai avessero perso il contatto con l’anima”. Questa parte dell’indagine porta con sé l’idea che “in un mondo in cui tutto è emozionale, la spiritualità è stata sostituita da altro” e che “l’uomo moderno ha perso il contatto con la sua dimensione interiore”. È come se fosse assopita, in letargo. Da qui, gli autori deducono uno dei compiti principali della Chiesa: “risvegliare queste anime, far rientrare in contatto gli uomini con la loro interiorità”

Queste riflessioni sono importanti. L’animazione dell’uomo interiore, infatti, è fondamentale perché ci mette in relazione con il nostro io più profondo. Ci richiama al “conosci te stesso” di Socrate, al “ritorna in te stesso” di S. Agostino e di tutta la spiritualità dei santi e sante che fanno della vita interiore il criterio di crescita in saggezza e umanità. Richiama alla nostra unione con Dio, ci apre alla dimensione spirituale, fa risuonare in noi ciò che è vero, bello e buono, nutre l’aspirazione all’infinito per andare oltre ai limiti imposti dal tempo e dallo spazio, desidera l’unione con la vita dell’Eterno.

Possiamo dire, con il Catechismo della Chiesa Cattolica, che l’anima è quel germe di eternità che l’uomo porta in sé e che Dio ha messo in ogni donna e uomo sulla terra. Questa per il cristiano è la natura dell’uomo. Se perde il contatto con l’anima, con la sua vita interiore, l’uomo non è più spinto ad andare oltre, non è più animato dall’amore che gli viene da Dio per farsi dono per gli altri, non vive più stabilizzato dalla speranza ma diventa vittima dell’andamento fluttuante delle emozioni che prova al momento e in balia delle interferenze esterne più o meno invadenti di guru, influencer e santoni. Non è più ciò che è chiamato ad essere, diventa un’altra cosa.

Staccato dal suo centro animatore, l’uomo rischia di ritornare ad “una sola dimensione”, mosso dalla materialità delle cose, dalla seduzione delle fake news e dagli interessi momentanei, centrato su sé stesso e i propri desideri che diventano criterio di verità, isolato dagli altri, che non vede più come fratelli e sorelle ma come avversari, concorrenti e ostacoli alla sua realizzazione.
È importante, dunque, riscoprire il nostro centro, dove spirito, volontà, intelligenza ed emozioni trovano accordo nell’anima e vengono orientati al bene, al bello e al buono che sono attributi di Dio.

Questo viaggio missionario è il più importante. Va percorso con dedizione, disciplina, sacrificio e creatività, come fosse un allenamento costante per quella corsa che dura tutta la vita, alla ricerca dell’unità armoniosa di tutte le nostre dimensioni interiori ed esteriori, fisiche e spirituali, razionali ed emotive, anima e corpo che manifestano la verità del nostro essere. Saremo allora più solleciti a cercare la fraternità che siamo chiamati a formare e a curare meglio la Casa comune che ci ospita.



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