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LA PAROLA
“Alzati gli occhi verso i discepoli, Gesù diceva: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.  Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i vostri padri con i falsi profeti” (Lc 6,20-26).

Dopo aver formato il gruppo dei Dodici, Gesù scende dal monte in cerca di un luogo pianeggiante dove fermarsi. Il cambio geografico non è secondario. Non è la stessa cosa guardare l’esistenza da un comodo ufficio sulla Fifth Avenue, o guardarla dalla discarica di Korogocho a Nairobi o dalla stuoia di un morente. Perché, ciò che trova Gesù in quella pianura sono malati in cerca di salute, poveracci allo sbando, gente affamata di pane, di una carezza. Vogliono “toccarlo”, vogliono sentire che le sue parole hanno un corpo: il suo. Le sue sono parole di carne, hanno il potere di guarire, di tenere in piedi il mondo. E come allora possono curarci dalla nostra insensatezza, dai deliri di onnipotenza che ci rendono despoti del creato, di chi ha meno o è diverso.

Alzati gli occhi... Gesù disse: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio”. Ha alzato gli occhi cercando gli sguardi di quei disperati. Più in basso di loro. Da lì ha voluto comprendere il mistero della vita, il mistero del bene e del male che l’attraversa. E lì deve stare la chiesa, se non vuole smarrire il senso del suo essere. Gesù non ha davanti a sé dei bisognosi che vivono con poche cose, ma dei pitocchi, gente che non ha nulla, che si nutre di briciole saltuarie. Le prime quattro beatitudini non sono altro che modi diversi di descrivere i tentacoli della povertà: la fame, il pianto, la persecuzione. Mai, però, Gesù ha osato beatificare la povertà come tale! Si è inchinato di fronte a coloro che ne erano vittime, si è messo nei loro panni e ha dichiarato che stavano dalla parte giusta della storia, la parte scelta da Dio. Per questo Luca si affretta a far seguire quattro “ahimé” nei confronti dei ricchi, dei sazi, dei giulivi, dei rapaci di ingiusti proventi e inutile fama.

Per Gesù sono questi i veri disgraziati del mondo. Chi vive tendendo la mano sapendo che la sua esistenza dipende da quel poco che gli verrà offerto ha colto il segreto del Regno. Nessuno basta a se stesso, forse neanche Dio, perché ha avuto nostalgia di gente come noi. Nessuno produce l’aria, il sole, l’acqua, l’amicizia. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, abbiamo bisogno di tutto. Siamo dei pitocchi e non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo, o non siamo felici di esserlo.

La ricchezza gonfia di sé ci rende ciechi, seminatori di morte e sfruttamento, ci fa illudere di essere padroni dei beni della terra e della vita altrui. “Ieri mi sono comportata male nel cosmo - scriveva Wisława Szymborska in una sua poesia - ho passato tutto il giorno senza fare domande, senza stupirmi di niente... come se fosse tutto dovuto”. Il povero benedetto è colui che sa accogliere ogni cosa come un dono per farne dono agli altri. Il ricco può essere salvato solo facendo altrettanto.



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