La nascita dell’ospedale di Luvungi, in Congo RD
La saveriana Rosanna Bucci è infermiera. Ha lavorato nel Sud-Kivu, nell’Est della Repubblica democratica del Congo, negli anni 1994-2008 e in particolare a Luvungi fino al 1999. Dal 2017 è tornata in questo grande centro della pianura della Ruzizi, confinante con il Ruanda e con il Burundi.
Tornando a Luvungi, sono rimasta colpita dai volti magri delle persone, che venivano da un periodo di siccità. In quei giorni di dicembre iniziavano le piogge: “Il tuo arrivo è come una benedizione!”, m’hanno detto. In effetti, non certo per la mia presenza, le piogge sono state abbondanti e si sono avuti più raccolti.
Quando li avevo lasciati, attingevamo tutti acqua al fiume. Ho trovato, invece, oltre cento fontane nel villaggio, con acqua abbondante e pulita, grazie al lavoro svolto insieme dalla popolazione e dai missionari saveriani, in particolare da fratel Lucio Gregato, sostenuti dall’associazione spagnola Manos Unidas. Ciò ha portato un miglioramento della qualità di vita e un forte calo delle malattie gastroenteriche. Ho anche notato più case costruite in materiale durevole, grazie alla produzione locale di mattoni cotti e ai tanti tecnici formati negli anni dai saveriani Lucio e Luciano.
Nel 1967, i saveriani avevano aperto nel villaggio un Posto di salute, che dieci anni dopo, con l’arrivo delle saveriane, era diventato un Centro sanitario e, negli anni ’90, un Centro sanitario di riferimento, con una maternità, un laboratorio e la cura dei malati cronici di lebbra, tubercolosi, diabete, epilessia, e poi AIDS e drepanocitosi; un Centro per i bambini malnutriti, l’ospedalizzazione con maternità, pediatria, medicina e piccola chirurgia; e l’attività di prevenzione, con consultazioni prenatali e prescolari, e vaccinazioni.
Negli ultimi anni, da ogni parte si sollecitava che il Centro diventasse ospedale, con possibilità di interventi chirurgici. Lo chiedevano il medico capo della zona, la diocesi, il personale e soprattutto la popolazione, in particolare le mamme, che desideravano poter trovare al centro anche la possibilità del taglio cesareo. Noi saveriane esitavamo perché questo avrebbe richiesto più personale, medici e, pensavamo, più sorelle. Infine, la decisione positiva è stata presa.
Abbiamo cercato di adattare i locali senza costruire nuovi edifici, grazie alle entrate del Centro, all’aiuto ricevuto dalla Banca Mondiale, da persone dall’Italia e alla collaborazione della popolazione. I tecnici hanno lavorato con passione, accettando un modico salario. Si è predisposta la sala operatoria e un nuovo laboratorio, arricchendo l’equipaggiamento. Il 2 luglio 2020, con rapidità inusuale, è arrivato il riconoscimento statale. I posti letto sono ora un centinaio e le persone vengono numerose da tutta la zona sanitaria e anche dal vicino Burundi.